L’occupazione è cresciuta, ma l’Italia resta fanalino di coda in Europa

Nonostante l’aumento dei posti di lavoro, il Belpaese resta ultimo nella classifica dell’impiego. Preoccupano i divari occupazionali tra uomini e donne e tra giovani e adulti.

Stranezze della statistica. Secondo i dati diffusi da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea (Ue), il tasso di occupazione italiano, tra i 15 e 64 anni, ha mostrato una crescita tendenziale positiva rispetto agli anni scorsi. Tuttavia, malgrado le buone nuove, l’Italia resta ultima per tasso di occupazione tra i 27 Paesi dell’Unione. La disparità risulta ancora più accentuata se si confronta il tasso occupazionale delle donne, al 53,1% in Italia e al 66%, mediamente, in Europa.

Il tasso di occupazione maschile nazionale si è attestato al 71,3% degli uomini ed è relativo alla fascia d’età tra i 15 e 64 anni. Divario ancora più ridotto tra i maschi di età compresa tra i 25 e 64 anni, 84,4% il dato nazionale e 87,5% quello europeo. Come si è visto, il punto dolente è il divario dell’occupazione femminile, a cui si aggiunge quella giovanile. In tutti i raggruppamenti per età, l’Italia manifesta il fiato corto. Se si fa riferimento all’occupazione maschile compresa tra i 15 e 24 anni d’età, la media europea è al 36,9%, mentre il dato nazionale al 23,6%. Un divario del 13,3%, una cifra non di poco conto, da cui si comprende l’efficacia delle politiche economiche e sociali dei diversi Paesi.

Striscione disoccupazione giovanile
Tra i giovani l’occupazione europea è, in media, al 34,8%, in Italia al 19,2

Il gap cresce confrontando l’occupazione giovanile femminile con quella maschile. Tra i giovani l’occupazione europea è, in media, al 34,8%, in Italia al 19,2. Ma anche nella fascia d’età di mezzo, il risultato non cambia, sostanzialmente. L’occupazione femminile nazionale, infatti, nella fascia d’età tra i 25 e i 54 anni, si attesta al 64,6%, quella europea al 77,8%. Raffrontando solo i dati tra l’occupazione maschile e femminile, emerge un divario netto di 20 punti percentuali, in crescita rispetto ai dati precedenti.

Nella fascia d’età complessiva, ossia tra i 15 e 64 anni, il divario è di 18,2%. Come dire cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, come recita la proprietà commutativa dell’addizione. Nel senso che, nel caso in questione, cambiando l’ordine delle fasce d’età il risultato è, più o meno, identico. A pagare il prezzo più alto, infatti, sono sempre le donne, che risultano le più svantaggiate perché devono sopportare il peso della cura della famiglia (bambini e genitori anziani) e del lavoro. E non sempre ci riescono, a causa della inefficacia del welfare state, con la mancanza di strutture idonee, quali nidi per l’infanzia, asili e scuola a tempo pieno. Il divario cresce man mano che si scende tra le fasce più giovani.

A pagare il prezzo più alto sono sempre le donne, che risultano le più svantaggiate perché devono sopportare il peso della cura della famiglia

I numeri, malgrado la loro aridità e freddezza, dimostrano una realtà diversa da quella che viene raccontata dal giornalismo “mainstream” e dalla compagine governativa, sempre pronta ad enfatizzare la propria iniziativa.

Se esiste questo gap con l’Europa e se nell’Unione siamo praticamente all’ultimo posto nell’occupazione in generale e in quella femminile e giovanile in particolare, qualche domanda bisogna porsela. Non è colpa del destino cinico e baro, ma è il frutto di precise politiche del lavoro rivelatesi, allo stato dei fatti, inadeguate, inefficienti e incapaci di essere il motore trainante di una rinascita per l’occupazione. Uno degli effetti più deleteri è la cosiddetta “fuga dei cervelli” all’estero, ossia l’emigrazione verso Paesi stranieri di persone di talento o alta specializzazione professionale formatesi sul suolo patrio. Si riuscirà a trovare la formula giusta per risolvere l’arcano? Ce lo auguriamo con tutto il cuore!

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