Le immagini del 24 e 25 dicembre osservate per le vie di Milano presso le sedi del Pane Quotidiano hanno impressionato per la loro veemenza iconica e devono indurre ad una seria riflessione. E subito.
Milano – Una fila immensa e ordinata che, sin dalle prime ore del mattino della Vigilia e del giorno di Natale, è andata snodandosi prendendo forma per le vie di Milano. Precisamente nella zona sud del capoluogo meneghino, in viale Toscana.
Come mai? Biglietti per un concerto di Vasco Rossi? Tagliandi per una finale di Champions League? Timothée Chalamet che firma autografi e fa selfie con i fan? Magari. Niente di tutto ciò, purtroppo. Il cordone umano era formato da persone in cerca di un pasto caldo, qualche giocattolo, messo a disposizione per i bambini dall’azienda a stelle e strisce Hasbro, e un po’ di calore umano. Questa moltitudine si è messa in fila davanti a una delle due sedi milanesi di Pane Quotidiano (l’altra è sita in viale Monza, ndr), onlus laica e apartitica attiva da oltre 100 anni che si occupa del sostegno alle persone indigenti. Nella fattispecie, ogni anno organizza la Mensa dei Poveri di Natale.
La scena vista quest’anno non ha precedenti. Straziante nella sua vivida umanità. Famiglie con bambini hanno atteso al freddo per ricevere quella che, molto poco prosaicamente, possiamo chiamare razione alimentare. Si stima che in due giorni siano state 10.000 le persone sfamate. Un dato che atterrisce, che proietta una tetra luce sul periodo che in molti stanno vivendo a causa di una situazione economica asfissiante. Famiglie che non riescono realmente ad arrivare a fine mese, frase questa che le nostre orecchie si stanno drammaticamente abituando a udire e che sta diventando un lugubre cliché nei discorsi quotidiani.
Luigi Rossi, vicepresidente di Pane Quotidiano ha spiegato:
«Il fatto che vigilia e Natale quest’anno siano di sabato e domenica ha reso la situazione ancora più difficile. Coloro che vengono per un pasto al Pane Quotidiano non sono esclusivamente clochard, anzi i senzatetto sono pochissimi. La gran parte sono persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese, quindi per loro un pasto rappresenta un sostentamento molto importante. Dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino abbiamo registrato un incremento delle persone che si rivolgono alla nostra associazione, quantificabile in circa il 10%».
In considerazione di questi numeri, oltre a Pane Quotidiano anche altre associazioni che sostengono gli indigenti nella strenua lotta contro la povertà faticano a reperire gli alimenti necessari per gli aiuti. Un dato che deve far riflettere forse più di altri è che quella mastodontica catena umana era composta da molte famiglie e persone che il lavoro ce l’hanno, ma è lavoro precario e sottopagato. Impressiona ancor di più il fatto che, nel 2022, in Italia, paese tra i cosiddetti “grandi” del mondo, e in una città come Milano, fulcro dell’innovazione e dell’economia nostrana, la situazione sia quella testé descritta.
È un episodio che rappresenta lo zenit di una situazione intollerabile che richiede un profondo esame di coscienza da parte delle istituzioni. Che deve necessariamente condurre all’adozione di misure concrete quantomeno per ridurre, se non eliminare del tutto, questi abomini sociali. “Eh ma come si fa? Mica è semplice… Non è che prendi la bacchetta magica e risolvi…” l’ammuffito refrain che da anni echeggia per viali e piazze delle nostre città. No, non è semplice. E no, nessuno è Houdini. Certo. Lo sforzo sarebbe ciclopico. Ma, come disse il compianto Gene Wilder, alias dott. Frederick von Frankenstein: “Si può fare!“.
Servirebbe ripensare il Paese, dalle basi. Un Paese sempre più vecchio (siamo i secondi al mondo dopo il Giappone), che soffoca e uccide ambizioni e sogni dei giovani, l’humus vitale di ogni collettività, bollandoli vigliaccamente come sempliciotti e fannulloni. Un Paese con un’etica sociale evanescente, dove la famiglia, lungi dall’essere un soave focolare, spesso è un luogo di violenze e soprusi. Spesso impuniti. Un Paese che, anziché proteggere i suoi figli più deboli, li abbandona. Un Paese con una classe politica stantìa, inadeguata, permeata sovente da interessi terzi, incapace di fare da motrice valoriale e volano delle istanze necessarie a far mettere le ali allo Stivale italiano. Uno Stivale che, da calzatura guascona e brillante, sta pian piano assumendo le forme di una infeltrita e consunta ciabatta.