Fumata bianca, c’è un accordo. Le opposizioni Pd, M5s, Verdi e Sinistra e +Europa, per la prima volta dall’inizio della legislatura si trovano d’accordo e firmano l’intesa sul salario minimo. Il guastafeste in casa Sinistra è, di nuovo, Matteo Renzi. La Meloni cerca nuove alternative.
Roma – Prove di unità dei separati in casa. Sembra inverosimile, eppure le opposizioni hanno trovato un accordo sul salario minimo. Il dibattito politico sul minimo retributivo è cominciato all’inizio di questa legislatura, dopo che per anni ha sempre rappresentato un tabù, anche a sinistra. In ogni caso, Pd, M5s, Verdi e Sinistra e +Europa hanno deciso di presentare una proposta di legge unitaria sul tema, arrivando per la prima volta ad una convergenza ampia.
I leader di riferimento hanno diffuso una nota congiunta annunciando che la proposta sarà depositata nei prossimi giorni alla camera dei deputati, dopo un lungo lavoro di sintesi fatto dai partiti di opposizione al governo Meloni. Tutti i partiti, infatti, avevano il salario minimo nel programma elettorale, pur con alcune differenze nel raggiungimento e nella proposta legislativa.
Appena dopo la diffusione della nota congiunta, non si è fatto attendere il commento del leader di Azione, Carlo Calenda, il quale ha affermato su twitter che “è un provvedimento equilibrato che riprende i punti fondamentali della proposta depositata dal Terzo Polo. Chiediamo ora al governo di Giorgia Meloni di aprire un confronto di merito e senza pregiudizi”. Si sgancia dal gruppo delle opposizioni Italia Viva, che nel merito sul salario minimo aveva presentato, alle elezioni, un testo diverso da quello che è stato proposto dal campo largo e dunque in coerenza con il mandato elettorale proporrà degli emendamenti al testo, votando a favore dei punti su cui è d’accordo. Insomma, “Italia Viva si comporterà allo stesso modo per i prossimi disegni di legge su giustizia, infrastrutture e sanità. Votiamo le leggi che ci convincono ma restiamo all’opposizione di Meloni e distanti dalle posizioni sul lavoro di Fratoianni, Conte e Schlein”.
La maggioranza, invece, che è contraria al salario minimo così come proposto, è orientata come già prevede il testo della mozione approvata alla camera dei deputati a novembre dell’anno scorso, che il governo s’impegni a raggiungere l’obiettivo della tutela dei diritti dei lavoratori non, però, con l’introduzione del salario minimo, ma attraverso alcune iniziative.
In particolare, attivando percorsi interlocutori tra le parti non coinvolte nella contrattazione collettiva, con l’obiettivo di monitorare e comprendere, attraverso l’analisi puntuale dei dati, motivi e cause della non applicazione; estendendo l’efficacia dei contratti collettivi nazionali comparativamente più rappresentativi alle categorie di lavoratori non comprese nella contrattazione nazionale. “Non sono convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge – ha affermato la premier – e l’approccio del governo va nella direzione di favorire una contrattazione collettiva sempre più virtuosa”.
Il governo, in sostanza, indipendentemente dalla attuale proposta delle opposizioni, deve, alla luce del testo approvato a maggioranza e dopo una analisi di fattibilità, mettere in atto una serie di misure di competenza volte al contrasto dei cosiddetti “contratti pirata” in favore dell’applicazione più ampia dei contratti collettivi.
Favorire, inoltre, l’apertura di un tavolo di confronto che assicuri il pieno coinvolgimento delle parti sociali e del mondo produttivo sul tema cruciale delle politiche finalizzate alla riduzione del costo del lavoro e all’abbattimento del cuneo fiscale, al fine di rilanciare lo sviluppo economico delle imprese, nonché incrementare l’occupazione e la capacità di acquisto dei lavoratori. Porre in essere interventi e azioni volti a liberare risorse da altre voci della spesa pubblica per destinarle al mercato del lavoro e favorire l’occupazione che rappresenta il volano di crescita del paese, nonché implementare una serie di politiche attive volte a garantire una più veloce collocazione dei giovani nel mondo del lavoro.
Ciò che bisogna sapere è che il salario minimo esiste già in 21 paesi europei, mentre non ce l’hanno, oltre all’Italia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria e Cipro. Si tratta di stati con sindacati forti dove le dinamiche salariali sono decise nell’ambito della contrattazione collettiva. La Cisl è sempre stata contraria, Cgil e Uil hanno aperto a questa possibilità solo negli ultimi tempi.