LAMEZIA TERME – ALLA SBARRA IL CLAN MANCUSO: LE MANI IN PASTA IN TUTTA EUROPA

La Svizzera è la nuova patria dei Mancuso di Limbadi che operano nel territorio elvetico come fossero a casa propria. Riciclaggio, investimenti bancari, droga, armi, prostituzione e qualsiasi altro settore commerciale viene trasformato dalle mafie in affari illeciti,

Lamezia Terme – E’ stato rinviato al 19 gennaio il maxi processo Rinascita Scott contro la ‘ndrangheta che vede ben 300 imputati alla sbarra con circa 400 capi d’imputazione, tra omicidi e narcotraffico. Nei confronti del giudice Tiziana Macrì, che presiedeva l’udienza, c’è stata una ricusazione da parte della Dda di Catanzaro in quanto il magistrato aveva autorizzato un’intercettazione nell’ambito dello stesso procedimento.

Nicola Gratteri al maxiprocesso

La cosca coinvolta, quella dei Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), è la più potente in assoluto in tutto il mondo, con addentellati radicati anche in Svizzera. Non per niente il Fedpol, l’ufficio Federale Elvetico di polizia, afferma che “la confederazione elvetica costituisce una piattaforma logistica ideale per le organizzazioni italiane di stampo mafioso”, non riferendosi solo alle zone di confine quali Ticino, Grigioni e Vallese, ma all’intero territorio.

Le autorità antimafia italiane e gli esperti di criminalità organizzata hanno stimato che sarebbero almeno una ventina le cellule mafiose attive nella Confederazione, con a capo circa 400 persone. Pare che le infiltrazioni della criminalità organizzata italiana in questi luoghi risalgano ad almeno 50 anni fa e che abbiano dato vita ad una mafia diversa, rappresentata da manager e colletti bianchi, che non uccide ma investe.

Mantella, Mancuso, Arena e Moscato, i quattro pentiti vibonesi che fanno tremare i colletti bianchi

Una mafia che non si espone, ma lavora in una sorta di rete sotterranea, dove prolificano mazzette, appalti truccati, attività imprenditoriali solo apparentemente legali. La camorra, Cosa Nostra e la ‘ndrangheta operano con metodologie che hanno emulato dalle grandi multinazionali, investendo i proventi derivati dal traffico di droga, armi, prostituzione e lavoro nero e non solo.

Nonostante abbia mantenuto sostanzialmente principi arcaici, la mafia si è adeguata al mercato e alla tecnologia tanto che i suoi uomini sono ora prestigiosi professionisti, laureati nelle migliori università europee, in grado di infiltrarsi ovunque: banche, politica, pubblica amministrazione, centri commerciali, alberghi e ristorazione, inquinando la società stessa.

Nello specifico, il forziere prediletto di queste organizzazioni malavitose è da sempre stato il Canton Ticino, probabilmente per la vicinanza geografica con il confine italiano e, soprattutto, perché punto di passaggio ideale in cui fare perdere le tracce dei fiumi di denaro illecito.

Allarme fra la polizia e la magistratura locale per le infiltrazioni mafiose ormai radicate

Ma è negli anni Ottanta che emerge il ruolo nevralgico della Svizzera nel riciclaggio di denaro sporco, con l’inchiesta denominata ”Pizza connection, una vasta operazione condotta da F.B.I. e dalla  polizia dello Stato di New York, in collaborazione col pool antimafia di Giovanni Falcone e con i magistrati svizzeri Carla Dal Ponte e Paolo Bernasconi, che durò 4 anni e portò all’arresto di 32 persone.

E proprio il primo procedimento contro i trafficanti italoamericani che avevano portato nel Paese elvetico oltre 1,5 miliardi di dollari, si svolse a Lugano nel 1985. Non solo. Nel 2000 era scoppiato il clamoroso caso dell’arresto di Francesco Moretti, avvocato di Lugano e ritenuto uno dei riciclatori della ‘ndrangheta che tra il 1993 e il 2000 aveva ripulito 75 miliardi di vecchie lire per conto della mafia calabrese e siciliana.

Giovanni Falcone

Inoltre nel 2009 si è concluso il filone ticinese della maxi inchiesta internazionale “Roscoba” che aveva  sgominato una vasta attività di riciclaggio da parte della ‘ndrangheta. Sempre nel 2009 e poi nel 2012 si è tenuto il processo contro ”la mafia delle sigarette” conosciuto come caso ”Montecristo” nel Tribunale di Bellinzona, a seguito del quale furono rinviate a giudizio – e infine assolte – nove persone residenti in Svizzera, sospettate di essere coinvolte nel riciclaggio di denaro proveniente dal contrabbando di almeno 215 milioni di stecche di sigarette dal Montenegro all’Italia.

L’anno 2014 è stato un anno particolarmente ”intenso” dal punto di vista dell’attività giudiziaria e delle inchieste per quanto riguarda l’attività di affiliati alla mafia operanti in Ticino: viene arrestato Franco Longo, originario di Campobasso ma residente a Vacallo, punto di riferimento di tutti i guadagni delle attività illecite condotte dalla cosca della ‘ndrangheta Libri-De Stefano-Tegano.

L’avvocato Francesco Moretti a processo nel tribunale di Lugano

A questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, un’importantissima indagine, l’operazione ”Helvetia”, su una cellula della ‘ndrangheta operativa da 40 anni a Frauenfeld e collegata alle cosche di Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Nel 2015, infine, sono state arrestate 7 persone collegate al clan Mancuso accusate di commercio illecito di reperti archeologici in Svizzera mentre, con l’operazione ”Hydra” viene individuato un libero professionista di Bergamo, affiliato sempre al clan Mancuso, intestatario fittizio di società commerciali e immobiliari con sedi nel bergamasco e nella Confederazione.

Insomma la Svizzera si erge a paradiso dei clan? Sembrerebbe proprio di sì. Le autorità elvetiche sono in allarme: dal 2018 sono stati emessi 15 divieti di entrata verso altrettanti individui fortemente sospettati di appartenere ad organizzazioni criminali. Ma sembra solo l’inizio. 

 

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