Qual è il rapporto tra i bambini e l’utilizzo delle nuove tecnologie? Una serie di studi scientifici ne consiglia un uso moderato ed a piccole dosi, perché i bambini devono sperimentare tutti e cinque i sensi.
E’ proprio vero che qualis pater talis filius (tale padre tale figlio), come dicevano i nostri padri latini. Almeno se si considera la diffusione capillare dei nuovi strumenti tecnologici (iphone, tablet e quant’altro) anche tra i più piccoli, che seguono l’esempio dei grandi.
L’ultimo rapporto ZERO TO EIGHT: CILDREN’S MEDIA USE IN AMERICA, 2017 (DA ZERO AD OTTO: USO DEI MEDIA DA PARTE DEI BAMBINI IN AMERICA) ha messo in evidenza che tra i bambini fino a otto anni, il 38% ha usato iphone o kindle ed il 7% possiede il proprio tablet, in aumento rispetto ai dati precedenti. Il rapporto è stato curato da Commonsense Media (San Francisco, Usa), un’organizzazione senza fini di lucro che: “fornisce istruzione e sostegno alle famiglie per promuovere tecnologie e mezzi di comunicazione sicuri per i bambini”.
Saltano all’occhio almeno due aspetti:
1) l’associazione degli oculisti consiglia di lasciare i bambini per non più di 40 minuti al giorno con un tablet e/o un videogioco, perché la continua esposizione davanti ad uno schermo di piccole dimensioni può provocare danni alla vista;
2) molti pedagogisti ritengono che un utilizzo dei tablet per bambini sotto i 4 anni non sia opportuno, perché i piccoli hanno bisogno di relazionarsi alla realtà con tutti i 5 sensi.
In controtendenza a queste considerazioni, è stato, qualche anno fa, il lancio da parte del gruppo KEY2, di GAME TELLER, un’applicazione didattica e di intrattenimenti per bambini al di sotto dei 3 anni. Infatti, prevedeva storie semplici, divise in scene, da ripetersi a piacere fino all’esaurimento dell’interesse da parte del bambino, qualora desiderasse una nuova storia.
Ora, è chiaro che un’azienda privata faccia del tutto per soddisfare i desideri e le richieste del proprio target di riferimento, è nella sua natura, nella sua mission. E’, invece, compito delle istituzioni politiche e delle cosiddette agenzie educative non governative (famiglia, parrocchia, associazioni culturali e sportive e simili) vigilare affinché la diffusione di nuovi strumenti tecnologici non sia così pervasiva in una fase molto delicata come l’infanzia. E, soprattutto, vengano attuate politiche e linee guida a favore della salvaguardia del pieno ed armonioso sviluppo del bambino.
Tuttavia sono i possibili effetti psicologici e sociali che vanno affrontati. Iniziando a chiedersi cosa vuol dire essere genitori, avere dei figli e formare una famiglia nell’era della tecnologia di massa. Le ricerche scientifiche ed i dati statistici servono a confermare una sensazione che ognuno di noi avverte. Cioè, si è diffusa una sorta di deresponsabilizzazione di massa: ormai qualsiasi compito è delegato allo smartphone, basta chiedere e c’è una risposta per ogni esigenza, un’app per ogni nostro desiderio.
Il non plus ultra lo si raggiunge quando si ritorna nel proprio focolare domestico: anche lì, ognuno col proprio cellulare, ognuno parte distaccata dall’altra, dal contesto e se c’è un bimbo da accudire, eccolo il babysitter virtuale con le sembianze di un tablet o di un videogioco! E’ ciò che davvero si desidera: tante piccole parti isolate l’una dall’altra, senza condivisione e, soprattutto, senza relazioni umane? In questo periodo di arresti domiciliari causa coronavirus si è costretti a vivere barricati in casa, per difendersi dall’infido nemico. Si potrebbero, invece, riscoprire gestualità e modalità che ci appartengono sin dalla notte dei tempi: lo sguardo degli occhi, la mimica del viso, il respiro dell’attimo vitale che scorre. E che erano state accantonate, perché mediate dai dispositivi elettronici: tablet, smartphone, pc… Ne beneficerebbero tutti i componenti della famiglia, i bambini in primis.