Il lavoro forzato esiste ancora

Il fenomeno è talmente esteso che a livello mondiale si stima che ci siano circa 27,6 milioni di persone succubi del lavoro forzato. Un caporalato planetario che rende ricchi gli aguzzini.

Roma – Sembrano situazioni dei secoli passati, quando esisteva la schiavitù. Eppure, anche oggi esiste il lavoro forzato, nonostante le moderne tecnologie, coi suoi diabolici dispositivi, che sembrano farci toccare il cielo con un dito, apparendo come la panacea per ogni situazione.

Lavoro nero e sfruttamento: milioni di lavoratori nel mondo trattati come schiavi

Il lavoro forzato viene considerato come una prestazione svolta sotto la spada di Damocle di qualsivoglia sanzione: si è costretti a lavorare con mezzi coercitivi, anche psicologici e subdoli. La Convenzione sul lavoro forzato del 1939, n. 29, dell’ILO (International Labour Organization) lo definisce come “qualsiasi lavoro o servizio richiesto a un individuo minacciato di punizione, e per il quale detto individuo non si offre volontariamente”.

Per arginare questa piaga sociale la Commissione Europea ha proposto il divieto di prodotti ricavati dal lavoro forzato, sia per uso interno sia per esportazioni e importazioni, senza alcuna preclusione di categorie merceologiche. L’Unione Europea ha proposto la diffusione della categoria lavoro inteso, innanzitutto, come dignità e attuazione di norme ad hoc per la soppressione di quello forzato.

Il lavoro forzato e il caporalato

Ci si è già mossi in questa direzione: l’anno scorso, infatti, la Commissione insieme al Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ha diffuso gli orientamenti basati sulla diligenza per sostenere le imprese nell’affrontare il rischio del lavoro coercitivo in linea con la giurisprudenza internazionale. Soprattutto sull’iter per individuare, prevenire, ridurre e affrontare il pericolo.

Il SEAE è il servizio diplomatico dell’Unione Europea, istituito per rendere più coerente ed efficace la politica estera dell’UE e rafforzare così l’influenza dell’Europa sulla scena mondiale. Il fenomeno è talmente esteso che a livello mondiale si stima che siano circa 27,6 milioni di persone succubi del lavoro forzato. Una cifra spaventosa, che richiede una risposta decisa e coordinata a livello internazionale. Ogni Stato dovrà mettere in moto tutte le competenze necessarie sia per eliminare il rischio sia per sostenere le imprese. Inoltre, è necessario impegnarsi per togliere dal mercato sia interno sia estero tutti quei prodotti eventualmente frutto di pratiche coercitive.

Siamo, comunque, ancora nel campo delle ipotesi. La proposta, infatti, dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea – istituzione rappresentativa dei governi europei, composta da un ministro competente per Stato membro, a seconda della materia trattata – prima di entrare in vigore e dovrà essere applicata entro 24 mesi dall’approvazione.

Ha ancora senso festeggiare i lavoratori?

Il Parlamento europeo periodicamente commissiona studi sullo stato dell’opinione pubblica nei Paesi membri, per cogliere meglio le percezioni e le attese dei cittadini in merito alle sue attività e a quelle dell’Unione europea nel suo insieme. Questi studi sono conosciuti col termine di Eurobarometro. Ebbene, l’opinione pubblica ha mostrato di apprezzare molto i temi che riguardano i diritti sociali ed economici.

Con l’attuazione di una siffatta proposta, i cittadini si sentiranno più sicuri e tranquilli nell’acquistare un prodotto. Le aziende, d’altro canto, godranno di vantaggi considerevoli, se il consumatore nutre maggiore fiducia nei prodotti. La sostenibilità sociale, inoltre, subirà un rafforzamento, anche col vantaggio di un sistema di norme coerente e valido per tutta l’Unione.

Le imprese di qualunque dimensioni pare abbiano messo al primo posto della loro scala di valori la trasparenza della catena di approvvigionamento, da cui ne scaturisce il possibile rischio di lavoro forzato. Per sostenere le imprese e i singoli Paesi la Commissione ha intenzione di introdurre misure di potenziamento che possano favorire le capacità locali in questo processo.

La strada è ancora lunga e irta di difficoltà burocratiche. Aspettiamo fiduciosi l’esito senza, peraltro, dimenticare di come, anche inconsapevolmente, si può diventare complici di crimini contro l’umanità. Perché il lavoro forzato altro non è che questo!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa