Si sarebbe sentito male all’improvviso lungo i binari che stava percorrendo a piedi. Non aveva il Green-pass e il personale ferroviario l’avrebbe fatto scendere alla stazione di Genova-Principe. Di Gangi era stato scarcerato per motivi di salute ma è possibile che l’anziano viaggiasse da solo verso la Sicilia? Indagini in corso.
Genova – Sarebbe morto sui binari per un malore Salvatore Di Gangi, detto Totò, ottantenne boss di Sciacca. L’anziano pregiudicato era sceso dal convoglio che lo portava in Sicilia, su disposizione del capotreno, perché sorpreso senza Green-pass. L’uomo, dalla stazione di Genova Principe, avrebbe proseguito a piedi sulle rotaie e nei pressi di una galleria sarebbe stato colpito da un collasso che l’avrebbe ucciso.
Il corpo senza vita sarebbe stato ritrovato intorno alle 20.30 del 27 novembre scorso ma dai primi accertamenti medico-legali sarebbe ancora poco chiara la dinamica dei fatti. La Procura di Genova ha aperto un fascicolo contro ignoti sulla strana morte della vittima mentre le indagini sono svolte dalla Squadra Mobile del capoluogo ligure e dalla Polizia ferroviaria.
Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire gli ultimi movimenti del boss che era uscito dal carcere di Asti per motivi di salute qualche giorno prima del decesso. Nell’ottobre scorso il nome dell’affiliato di Cosa Nostra, fedelissimo di Totò Riina, era tornato alla ribalta delle cronache nell’indagine sulla compravendita del noto e lussuoso resort Torre Macauda, che ricade nel territorio di Sciacca, in provincia di Agrigento, struttura turistica confiscata all’imprenditore Giuseppe Montalbano.
I magistrati della Dda di Palermo, i Pm Piero Padova e Francesca Dessi coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido, hanno ipotizzato che l’intero villaggio turistico sarebbe tornato nelle mani di Di Gangi, nella qualità di proprietario, tanto da predisporre ed eseguire una perquisizione nella cella dove l’anziano mafioso si trovava recluso.
Secondo gli investigatori del nucleo di polizia Economico finanziaria della guardia di Finanza la società che gestisce Torre Macauda, la Libertà Immobiliare Srl con diverse sedi in Sicilia, sarebbe di fatto riconducibile al boss Di Gangi e al figlio Alessandro i quali, tramite diverse operazioni finanziarie illecite, sarebbero tornati in possesso della struttura alberghiera la cui situazione debitoria è pesantissima.
Fiumi di denaro, società controllate come scatole cinesi, imprenditori collusi e un dirigente di banca che avrebbe rilasciato una quietanza per un pagamento di 8 milioni avendone ricevuti solo 4, sono gli stratagemmi con cui la struttura turistica sarebbe ripassata di mano.
L’inchiesta aveva portato all’esecuzione di due perquisizioni in altrettante filiali della UniCredit di Palermo e alla notifica di otto avvisi di garanzia per diversi destinatari fra i quali figuravano lo stesso Totò Di Gangi, il figlio Alessandro e un funzionario dell’istituto di credito.
La proprietà di Torre Macauda dopo anni di buon andamento economico era stata coinvolta in un’inchiesta di mafia, le strutture alberghiere erano state sequestrate e affidate in gestione ad una società esterna. Nel tempo però la famiglia mafiosa di Sciacca, grazie a prestanome, sarebbe tornata materialmente nel possesso del complesso alberghiero che farebbe capo al clan corleonese un tempo capeggiato da Totò Riina.
Nella vicenda sarebbero coinvolti due professionisti, Maurizio Lupo di 61 anni e Luigi Vantaggiato di 68, l’imprenditore veneto Francesco Donà delle Rose (figlio di uno dei fratelli fondatori di Porto Rotondo), Anna Maria Lo Muzio di 67 anni, il funzionario di banca Vincenzo Coglitore di 61 anni e Francesco Corvelli, 66 anni, che a vario titolo avrebbero tratto vantaggi dalla compravendita della vasta zona turistica composta da alberghi, piscine, acquapark, bungalow, aree di relax e sauna, ristoranti in grado di ospitare centinaia di persone.
A seguito del coinvolgimento di imprenditori e professionisti, che si dichiarano estranei ai fatti, le fiamme gialle hanno eseguito perquisizioni all’interno di uffici, abitazioni provate, yacht e pertinenze di proprietà degli indagati. Tornando a Di Gangi l’uomo era stato condannato a 17 anni di reclusione per mafia nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Montagna” nel gennaio del 2018, che aveva coinvolto anche per droga politici e amministratori in provincia di Agrigento.
Di Gangi stava scontando la pena nel carcere Asti da dove era appena uscito a seguito di un provvedimento della Corte d’Appello di Palermo dopo una perizia psichiatrica che attestava deficit cognitivi. Pare che il boss fosse accompagnato da qualcuno. Il sostituto procuratore della Dda genovese, Federico Manotti, ha disposto l’autopsia.