Negli ultimi anni mettere al mondo figli ovvero diventare genitori è diventato un lusso che non tutti si possono permettere. Effetti della crisi economica o consapevolezza? Con la pandemia il dilemma si fa ancora più assillante.
Genitori? No, grazie! Trova sempre più spazio la scelta di non avere figli, di non diventare genitori. Ricerche sociologiche ne hanno evidenziato il trend basandosi su test di questo tipo: non vi piace avere intorno bambini? Non siete disposti a fare sacrifici necessari per essere genitori? Rinuncereste a hobby e status economico? Riconoscete di non avere la stabilità di un genitore? Domande a cui dare risposte sincere non è sempre facile.
In questo particolare momento storico si appalesano forti dubbi nel mettere al mondo un figlio. Oppure è solo dimostrazione di bieco egoismo, una peculiarità della società opulenta. Sempre più persone considerano la genitorialità come opzione, come scelta e non più come atto dovuto. Secondo Ellen Walker, autrice di Completa senza figli, i numeri sono i seguenti:
“ …La percentuale di donne che raggiungono la fine della loro età fertile senza avere figli, attualmente, negli Usa rappresenta circa il 20%, rispetto al 10% del 1970…”.
A riprova di ciò, anche i decrescenti tassi di natalità in tutto l’Occidente, così come in Cina e in Giappone.
Gli effetti nefasti della crisi economica e la consapevolezza che siamo troppi sulla faccia delle terra, quasi 7 miliardi, inducono molti a pensarci bene prima di aggiungere un altro essere umano in un mondo che ormai ci calza stretto. Altre e tante sono le motivazioni di una scelta così netta. Si va dai costi eccessivi alla mancanza di una rete di supporto fino alle preoccupazioni del sempre più forte inquinamento ambientale e del suo impatto sull’ecologia. La pandemia da coronavirus ha accentuato timori e incertezze.
Indubbiamente, la recessione economica e la precarietà del lavoro hanno il loro peso ma non mettere al mondo figli sembra essere anche il risultato scaturito dalle maggiori opzioni di scelta. A differenza della precedente, la nuova generazione di DINKS (double income, no kids couples), coppie con 2 redditi e senza figli, non trova più imbarazzante parlarne. Anzi, viene vissuta come una scelta piuttosto che un passo essenziale della vita.
Mentre la gran parte dei genitori ritiene che crescere figli in modo dignitoso sia il loro scopo nella vita, i Dinks convogliano le proprie energie in altri progetti: opere di carità, hobby di vario tipo o volontariato. Oppure, molto semplicemente, declinano dall’assumersi responsabilità genitoriali. Molte coppie optano per questa scelta perché culturalmente lontane dal pensare che l’unico scopo della vita sia la genitorialità. Ciò è favorito anche dal fatto che l’opinione pubblica è pronta ad accettare le diverse opzioni.
Le scienze sociali e demografiche, studiando lo sviluppo della famiglia nelle società occidentali, hanno evidenziato che una serie di profili che la caratterizzavano in epoca precedente avevano subito forti mutamenti. Il cambiamento della struttura socio/economica, in buona sostanza, aveva provocato una forte rottura con la struttura sociale precedente. Si è assistito, infatti, al passaggio dalla famiglia numerosa a quella nucleare. Nella prima, tipica di una società a forte connotazione agricola/patriarcale, dove alla rigidità dei ruoli maschio/femmina (col primo che adottava un ruolo dominante e la seconda uno gregario), si avvertiva l’esigenza puramente empirica di braccia per i lavori nei campi. Le famiglie con molti figli erano dunque una caratteristica diffusa, soprattutto in quelle mezzadrili.
L’industrializzazione del nord Italia provocò, oltre ad un depauperamento economico e culturale delle campagne, anche una trasformazione della famiglia. Si passò a quella che gli studiosi hanno definito nucleare: padre, madre e bambino. Questa caratteristica è stata la risposta alle mutate esigenze della struttura economico/sociale. Le città industriali subirono un forte processo di urbanizzazione. Servivano operai generici da riqualificare: cosa poteva essere più allettante del proletariato agricolo, che si spostava dalle campagne all’urbe, come un esodo di pellegrini in cammino per raggiungere l’agognata Mecca. Molto più prosaicamente si trattava di un vero e proprio esercito industriale di riserva a disposizione degli imprenditori. E’ chiaro che, in un contesto del genere, una famiglia numerosa sarebbe stata controproducente. Meglio una più ristretta, in cui doveva lavorare, quasi sempre in fabbrica, anche la donna, perché la vita in città non era sostenibile con un solo salario. Più una costrizione che una scelta.
Avere o non avere figli, dovrebbe rispondere, in primo luogo, ad un’esigenza naturale, ad un bisogno di completezza della coppia. E non solo alle sollecitazioni della struttura sociale. Dovrebbe rappresentare il punto più alto e consapevole del rapporto di coppia ed essere vissuto come un dono. Le difficoltà consistono nel conciliare le varie esigenze: naturali (procreazione), individuali (realizzazione di sé attraverso la professione e/o il lavoro) e sociali (status symbol e un welfare all’altezza). Raggiungere un equilibrio fra le varie esigenze col giusto dosaggio è molto complicato. Tuttavia, un tentativo va fatto. Soprattutto adesso, costretti in casa dall’infido virus, la nascita di un nuovo essere, oltre a regalarci un momento di gioia, potrebbe essere foriera della rinascita economica e sociale.