Il gaslighting è una forma subdola di manipolazione psicologica che mina l’autostima e la percezione della realtà. Cos’è, come riconoscerlo e come difendersi.
I rapporti di coppia sin dall’apparizione di Adamo e Eva sulla faccia della Terra sono stati sempre difficili, complicati, conflittuali. Forse se non ci fosse l’attrazione sessuale, la coppia si sbranerebbe a vicenda. I femminicidi, di cui, purtroppo, è ricca la cronaca, derivano da un’agghiacciante idea da parte del maschio di controllo coercitivo. Comunque, quando si è in crisi e la coppia (s)coppia le criticità sorgono lo stesso.
C’ è sempre qualcuno dei due che riesce a dominare (spesso il maschio) dubitando delle parole dette dall’altro, della sua capacità mnemonica e dell’attendibilità delle sue affermazioni. Innescando così un meccanismo perverso, definito dalla psicologia col termine “gaslighting”. Il… gas comune, se viene inalato, provoca seri danni alla salute fino alla morte. Nemmeno questo scherza, perché una persona cerca di manipolare l’altra, che comincia a non essere consapevole della realtà, dei ricordi e della sua capacità di valutazione. La locuzione deriva da un film del 1944 con lo stesso titolo (in italiano Angoscia) diretto da George Cukor. Narra la storia di una giovane coppia (la parte femminile è divinamente interpretata da Ingrid Bergman, a cui fu assegnato l’Oscar come migliore attrice protagonista) e dei loro sconvolgimenti psicologici attraverso cui il marito fa credere alla consorte di essere pazza.
La manipolazione affettiva raggiunge il culmine nei rapporti disfunzionali e tossici. Il “gaslighting” inasprisce la dipendenza affettiva in quanto più si è manipolati, più ci si lega al proprio torturatore. Una sorta di riedizione della “sindrome di Stoccolma”, in cui un legame traumatico produce una situazione paradossale, dove la vittima avverte un sentimento di simpatia, empatia, fiducia, attaccamento e persino amore nei confronti dell’aggressore o sequestratore che detiene una posizione di potere nei confronti della vittima stessa. Per la cronaca, il nome deriva da una rapina presso la Sveriges Kreditbanken di Stoccolma, avvenuta nel 1973. I rapinatori, due galeotti evasi dal carcere, si barricarono con quattro ostaggi, tre donne ed un uomo, nei sotterranei della banca.
Alla fine dopo 130 ore di trattative gli ostaggi furono liberati. Gli investigatori utilizzarono, per la prima volta, dei test psicologici sui sopravvissuti alla triste vicenda, da cui emerse che avevano più timore degli agenti che dei rapinatori.
La vittima di “gaslighting” viene logorata lentamente fino a non essere capace di decidere in autonomia. In questo modo cresce la dipendenza psicologica dal manipolatore, il quale la isola dai rapporti esterni per aumentarne il controllo. Questo rapporto malsano, per la vittima è il solo modo per avere attenzione e consenso. Ne consegue che chi ne è vittima perde la propria identità e il suo atteggiamento e i pensieri si conformano a quelli dell’aguzzino.
L’autostima praticamente si annulla, mentre cresce il senso di colpa e il terrore. La psicologia ha diffuso una sorta di manuale di difesa, che prevede i seguenti steps: consapevolezza di essere vittima di “gaslighting”; ritrovare l’indipendenza emotiva; fissare dei paletti; chiedere aiuto alla psicoterapia; riprendere le relazioni esterne. Senza voler confutare queste affermazioni, sorge spontaneo un quesito: “Se si riesce ad attuare queste indicazioni, vuol dire che non si è ancora caduti nel vortice della dipendenza affettiva. Una volta fagocitati dal meccanismo, si è impotenti, per cui i consigli della psicologa potrebbero produrre benefici in un’ottica di prevenzione, non di terapia!”.