Energia – Le trivelle non sono tutte “belle”

Intanto dovremo comunque sganciarci dalla dipendenza energetica dunque ben vengano altre possibilità. Purché non costituiscano un pericolo per i cittadini e l’ambiente. Speriamo che qualsiasi marchingegno utile a procurarci gas e petrolio sia preventivamente testato e verificato in questo senso.

Roma – Trivelle, avanti tutta! A volte ritornano si potrebbe dire, tanto per parafrasare il titolo della famosa raccolta di racconti horror di Stephen King. Il noto scrittore si riferiva ai demoni, noi più modestamente alle trivelle. Il premier Meloni – ci atteniamo fedelmente ai desiderata della Presidenza del Consiglio per quanto riguarda la stucchevole polemica sulla declinazione al femminile o al maschile – rispettando i suoi ideali di difesa del suolo patrio, sembra orientata a sfruttare i giacimenti di gas presenti sul territorio. Quindi, avanti con le trivelle: l’obiettivo è il raddoppio della produzione entro il 2025.

Avremmo così gas tipicamente italiano, a… denominazione di origine controllata e protetta, come nelle migliori tradizioni del Made in Italy. Alla faccia dell’orco russo! La guerra in Ucraina, con la crisi energetica che si è determinata, è stata l’occasione per le lobby del fossile di tornare alla carica, sia a livello nazionale che europeo, per un ritorno all’uso intensivo delle trivelle sia in mare che sulla terraferma. Al grido di “Trivella continua” e “Boia chi molla” gli ardimentosi patrioti si stanno organizzando per sottrarre gas dal sottosuolo marino e terrestre per la tanto agognata autosufficienza energetica! Sti cazzi, si potrebbe esclamare, utilizzando un’espressione tipicamente aristocratica!

Ora tutti i maggiori esperti a livello mondiale di ecologia, da anni propongono l’abolizione totale delle trivelle, in quanto sono numerosi gli studi da cui emerge che perforare con violenza e rumori assordanti il fondale dei mari e la terraferma provoca un sovvertimento dell’equilibrio ambientale, con gravi danni alla biodiversità. Qualcuno ha ipotizzato, addirittura, il nesso col terremoto in Emilia-Romagna del 2012 anche per la massiccia presenza di trivelle sul territorio estese fino all’Adriatico. C’è da dire che il ritorno all’uso delle trivelle sarebbe una palese violazione degli Accordi sul clima di Parigi del 2016.

Inoltre, per la cronaca, è da ricordare il fallimento del referendum sulle trivelle del 2016 per mancato quorum: votò solo il 31,19% degli elettori. La strategia meloniana segue il solco tracciato dall’ex ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani col suo “piano trivelle” (PITESAI) in cui vengo elencate le mappe delle zone idonee per trivellare. Alla faccia della transizione ecologica e al diavolo le fonti rinnovabili. E poi tutti si riempiono la bocca di cambiamento climatico e di sostenibilità ambientale. Il dicastero, pur avendo cambiato ragione sociale in Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica – evidentemente il nuovo governo ha il chiodo fisso della sicurezza, visto che è inserita in ogni dove- eredita, dunque, il dossier “trivelle”.

Il 70% dei giacimenti italiani è gestito da Eni, il 16% da Royal Dutch Shell e la restante percentuale in mano ad aziende minori. Le regioni con maggior presenza sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la costa adriatica fino alla Puglia e poi, Basilicata, Calabria e Sicilia. Saranno felici le popolazioni locali che accoglieranno le imprese trivellatrici con musica e fanfare! In uno Stato serio, l’approccio ad una problematica del genere, dovrebbe essere quanto più laico possibile. E’ vero che non bisogna criminalizzare i fautori, ma nemmeno fare il contrario. Come è altrettanto vero che il nesso delle trivellazioni con calamità naturali è se non veritiero al 100%, quanto meno dubbio. Ed in questi casi, per il principio di precauzione, bisognerebbe astenersi da una politica siffatta. Ma la precauzione non fa parte del nostro patrimonio culturale, evidentemente.

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