E’ UN COMPLOTTO, NON HO UCCISO DON PINO

Il parroco 91enne sarebbe stato ammazzato dal collega più giovane perché lo aveva sorpreso a rubare nella sua stanza. Ma don Paolo nega e reitera a gran voce la sua innocenza ma la perpetua lo inchioda

TRIESTE – Dopo la condanna a 21 anni e 6 mesi per l’omicidio di don Giuseppe Rocco, parroco 92enne della chiesa di Santa Teresa di Trieste, l’assassino si discolpa e urla la sua innocenza. Monsignor Paolo Piccoli, 51 anni, a due mesi dalla pesante condanna, non ci sta e ipotizza una sorta di complotto ordito contro di lui: ”… Sono innocente – afferma Piccoli – contro di me hanno vinto i pregiudizi e le bugie. Vivo una grande sofferenza, come Giobbe sono stato messo alla prova…”.

Paolo Piccoli

Per i lettori ricorderemo che la tragica vicenda si era consumata in una stanza della Casa del Clero di Trieste, in via Besenghi, nella mattinata del 25 aprile 2014. Il cadavere dell’anziano prelato era stato ritrovato da alcuni confratelli supino sul suo letto. In un primo momento si era pensato ad un incidente, una sorta di auto soffocamento dell’anziano prete nel tentativo di aprirsi il colletto della camicia per respirare meglio. Messa da parte anche l’ipotesi del suicidio e grazie ad un esame strumentale piuttosto sofisticato la pubblica accusa, rappresentata dai Pm Lucia Baldovin e Matteo Tripani, era riuscita ad inchiodare l’unico imputato, don Paolo Piccoli, canonico della cattedrale dell’Aquila.

La verifica scientifica aveva dimostrato la frattura dell’osso ioide, della cartilagine tiroidea e di quella aritenoidea. Fratture queste causate dalla pressione del pollice di una mano, talmente violenta da arrivare sino alla base del collo:

La vittima don Giuseppe Rocco.

”…Sono i classici effetti dello strozzamento – si leggeva nella perizia processuale – la vittima sarebbe stata afferrata alla gola ad artiglio…. Quel tipo di lesioni non possono essere auto inflitte anche perché la pressione interessa pure il seno carotideo, provocando l’arresto cardiaco…Una persona sviene prima, non può fare tutto ciò da sé, perché svenendo molla la mano. Mentre qui si sono rotte tre parti distinte…”.

Don Rocco presentava anche tracce emorragiche all’interno della bocca, segno che l’assassino nella sua furia omicida per immobilizzare e uccidere il povero prete, gli aveva stretto le guance per poi graffiarlo sul collo volendo tenere a bada un tentativo di difesa della vittima. Don Giuseppe Rocco è stato ucciso per rapina poiché dalla sua stanza erano spariti oggetti sacri di valore trascurabile. A questi importanti particolari gli inquirenti, in sede di indagine, avevano rilevato che don Piccoli soffriva di una patologia dermatologica che si manifestava con piccole perdite ematiche. Il sangue del canonico dell’Aquila, originario di Verona, era stato riscontrato sui vestiti della vittima e una volta comparato positivamente il Dna per l’allora imputato Paolo Piccoli le cose si mettevano male.

Il Ris presso la Casa del Clero per i rilievi di rito.

A rafforzare i sospetti su monsignor Piccoli alcune dicerie su un suo presunto vizio di raccogliere oggetti sacri in maniera seriale. Questa sorta di fissazione pare gli fosse costata l’ordinamento sacerdotale che poi don Piccoli avrebbe ottenuto nel capoluogo abruzzese grazie ad un vescovo più accondiscendente. Nell’abitazione dell’ex canonico il Ris avrebbe scoperto numerose foto pornografiche contenute nel Pc di Piccoli dalla cui abitazione era scomparso anche un cuscino, repertoriato dai militari ma mai più ritrovato. Per farla breve don Piccoli sapendo che l’anziano collega dormiva con la porta aperta sarebbe entrato nella sua stanza per rubare statuette e rosari ma il povero don Giuseppe se ne sarebbe accorto e avrebbe minacciato Piccoli di denunciarlo.

Il Ris

Da lì un violento litigio che sarebbe culminato con la morte dell’anziano prete, strozzato senza pietà. Poi qualcuno aveva inviato una lettera anonima che indicava don Piccoli come l’autore del delitto. A scriverla era stata la perpetua della vittima, Eleonora Dibitonto, che aveva accusato Piccoli di essere l’unica persona all’interno del caseggiato nel momento del delitto:

”… Per me la vita è sacra – continua a dire l’ex monsignore – quella mattina mi riferirono della morte di don Pino, in attesa del vicario del vescovo, andai ad impartirgli la benedizione. Le macchioline del mio sangue sul suo corpo sono collegate alla malattia di cui soffro. Perché mai avrei dovuto buttare 43 anni di vita religiosa, di cui 26 anni di sacerdozio e 23 di monsignorato, per una catenina e due bomboniere?..”.

La vittima don Giuseppe Rocco.
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