La crisi era stata annunciata da tempo e gli screzi con i 5stelle erano all’ordine del giorno. Del resto Conte non ha “condannato” il Governo, non ha votato un provvedimento. Dunque le dimissioni sono state quasi un atto dovuto ma anche una strategia per vedere il comportamento degli altri leader. Se ne riparlerà in aula.
Roma – Draghi ci ha provato e si è giocato la carta delle dimissioni. La scusa ufficiale non sta in piedi: lo strappo con i 5s che non hanno votato la fiducia al Senato sul decreto Aiuti. Vicenda paradossale ed estremamente delicata, non tanto per le eventuali elezioni anticipate che fanno capolino spinte dal centrodestra, quanto per l’evoluzione della crisi annunciata da tempo e per nulla disinnescata.
In ogni caso il presidente della Repubblica, com’è risaputo, non ha accolto le dimissioni ed ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi in Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede istituzionale, una valutazione della situazione venutasi a creare.
Il M5s non votando la fiducia ha dimostrato di essersi stancato delle continue promesse di Draghi e della maggioranza, sui dossier come il “Superbonus”, il “Reddito di cittadinanza” e “L’inceneritore di Roma”, il quale peraltro poteva non essere inserito nell’ambito del Dl Aiuti che i pentastellati avrebbero sicuramente votato.
Si tenga conto che il termovalorizzatore capitolino potrà vedere la luce non prima di almeno cinque anni. Tanto per fare capire di che cosa stiamo parlando e che tutto questo pasticcio sarebbe servito solo per affacciarsi alle prossime elezioni romane. Magari con qualcosa in mano da sbandierare ai quattro venti come trofeo da parte di chi amministra la città.
Certamente il problema della crisi è più ampio e non si può confinare a questa singola vicenda, però se c’è una forza politica della maggioranza che ha sensibilità diverse va trovata una mediazione. Insomma ci vuole una via d’uscita e delle più semplici se la politica non intende colare a picco.
Una di queste chances poteva essere la proposta di votare articolo per articolo onde evitare di porre la fiducia, ossia un unico voto sull’intero decreto-legge. Ma anche questa proposta salva-vita è stata respinta. Ecco perché le responsabilità non stanno soltanto da una parte ma dovrebbero essere distribuite fra tutti gli attori protagonisti dell’esecutivo e del Parlamento.
La chiarezza in questi casi è un obbligo morale che tutti dovrebbero osservare, ma che regolarmente viene disatteso. Sarebbe stato meglio che il M5s avesse votato la fiducia al provvedimento, mostrando maggiore senso di responsabilità, anche se il popolo grillino si sarebbe dissolto prima del tempo, così come Draghi avrebbe dovuto essere meno rigido e più permeabile alle esigenze di Conte. Macché.
Comunque vada il partito di Grillo, che continua a fare il puparo, dovrà ricevere comunque risposte alle istanze avanzate, altrimenti addio fiducia ad un eventuale prossimo governo. La sensazione è che il Premier e qualche altro leader di partito abbiano colto l’occasione per mettere alle corde l’ex avvocato del popolo, il quale sulla inevitabile decisione di Draghi e Mattarella risponde semplicemente “ne prendo atto”.
Il confronto, così facendo, è rinviato a mercoledì prossimo quando Mario Draghi si presenterà in Parlamento per spiegare le ragioni che hanno portato ad una scelta che, fatta apposta o no, i partiti chiedono a gran voce di rivedere. D’altronde Conte non ha sfiduciato il governo. Non ne ha votato un provvedimento, sia chiaro.
In ogni caso dopo le comunicazioni in aula, il Premier potrebbe annunciare di voler tornare nuovamente al Quirinale per dimettersi, bloccando così dibattito e voto parlamentare sul suo intervento. Poi spetterà sempre al Quirinale valutare se conferire un nuovo incarico o sciogliere le Camere e andare dunque alle elezioni anticipate, tanto agognate da Giorgia Meloni.
Le reazioni politiche sono state molteplici. Nonostante la crisi fosse stata annunciata a gran voce. FdI, come abbiamo detto, spinge per le urne ed invoca l’unità del centrodestra, senza che quest’ultima ceda ancora al richiamo delle sirene per una permanenza di Draghi al governo. Meloni, insomma, vorrebbe cogliere al volo questa ghiotta opportunità per sciogliere l’attuale maggioranza ed andare a governare al più presto. Non farà meglio di Draghi e affini, questo è certo. E ammesso che riesca a vincere le politiche.