De-Influencing: il fenomeno che sfida il consumismo sfrenato e gli influencer

Il de-influencing sta rivoluzionando i social media: meno consumismo, più sostenibilità. Ecco come la Gen Z e i nuovi trend cercano di opporsi agli influencer tradizionali.

Sta spopolando il “de-influencing”. E’ risaputo che Internet, la grande rete globale simile a quella per la pesca, in cui si impigliano i pesci, così come restano appiccicati tutti i comuni mortali, è diventata una sorta di “agorà”, l’antica piazza centrale della polis greca, dove si svolgeva la vita politica e commerciale della città. Secondo gli studiosi di mass media il web segue uno dei principi basi della fisica “a ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria”. E’ il caso del “de-influencing”, un fenomeno sorto in contrasto agli influencer.

Si tratta di un movimento volto a denunciare il consumismo eccessivo e riflette una crescente sfiducia verso gli influencer, spesso percepiti come poco autentici nelle loro promozioni. Malgrado l’entusiasmo verso nuovi prodotti sia ancora notevole, il vento sta cambiando. Sarà per l’inflazione e i magri salari, ci si sta rendendo conto che l’acquisto esasperato di merce non è più sostenibile. I de-influencing, in questo contesto, stanno spingendo verso una prospettiva “green” ed un consumo consapevole. Soprattutto la Gen Z (i nati dal 1995 a 2010, la prima generazione ad essersi sviluppata potendo godere dell’accesso ad Internet sin dall’infanzia) ha deciso di virare in tutt’altra direzione rispetto al consumo sfrenato.

Il giro d’affari degli influencer è di circa 250 miliardi di dollari

Mentre gli influencer propongono di acquistare tutto ciò che pubblicizzano, i de-influencer, al contrario invitano gli utenti a sospendere l’acquisto. Sono mossi da coscienza ambientalista e dalla constatazione che molta merce sia inutile e di bassa qualità. Poiché la critica su qualsiasi cosa, avvenimento o fenomeno che appare su Internet, ha ampio consenso, non è una sorpresa che il fenomeno del de-influencing abbia raccolto oltre un miliardo di visualizzazioni ripartite su più di 42 mila post. Tuttavia, il giro d’affari degli influencer è di circa 250 miliardi di dollari e, come ha sottolineato Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari mondiali, nel 2027 potrà raggiungere mezzo trilione di dollari. Di fronte a queste cifre astronomiche la lotta è impari. E come se uno fosse armato di fionda e l’altro di un bazooka.

Piaccia o no, per disintossicarsi dai social media bisogna usarli…

Però gli studiosi del fenomeno sostengono che tutti i movimenti contro-culturali cercano di infilarsi nell’infrastruttura dei social media per promuovere le loro idee. Il problema di fondo è che i movimenti di opposizione incontreranno sempre ostacoli. Ad esempio più di 10 anni fa Twitter veniva considerato un vero luogo democratico, tanto da avere un ruolo rilevante nell’organizzazione delle cosiddette “primavere arabe” del 2011. Ora che è stato acquisito dal magnate Elon Musk, in rampa di lancio per occupare una posizione di rilievo nel prossimo governo statunitense del recente vincitore delle elezioni Donald Trump, le voci alternative non potranno mai essere radicali. Sta già avvenendo con i de-influencer che da un lato lottano contro il consumismo, dall’altro colgono l’occasione per promuovere il proprio marchio. Nei fatti, seguono un modello molto simile all’avversario.

C’è chi sostiene che la vera dis-influenza è disattivare il proprio account. Fino a quando abbandonare i social media non sarà condiviso da una moltitudine di persone, il rischio è che il nuovo trend potrà essere assorbito da chi in teoria si vuole contestare. Però, non è che ci siano tante alternative: piaccia o no, per disintossicarsi dai social media bisogna usarli, perché è il sintomo di come il rapporto coi social sia conflittuale ma, allo stesso tempo, consapevole, forse!

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