La destra italiana ha oggi il volto vittorioso di Giorgia Meloni. Ma negli anni ha cambiato molte facce: da quella del berlusconismo, alla rivoluzione sovranista. E con Giorgia la nuova destra italiana abbandona le pretese di rivoluzione e torna a mostrarsi obbediente a NATO e istituzioni europee. Nasce il sovranismo realista?
Roma – Cosa vuol dire essere, oggi, in Italia, di destra? Non è una domanda a cui è facile rispondere, soprattutto dopo che il sovranismo ha cambiato le carte in tavola. Se Berlusconi ricostruì l’identità del centrodestra attorno all’odio contro i “comunisti” e la lotta alle tasse, dopo l’esplosione salviniana significava polemica contro l’Unione Europea, ostilità al gender, patriottismo spinto e, ovviamente, rifiuto netto dell’immigrazione. Tutte posizioni su cui Giorgia Meloni, all’alba della vittoria, ha mostrato una sorprendente moderazione…Che il sovranismo abbia terminato la sua fase adolescenziale e si appresti a tornare nei ranghi?
La destra ha vinto: le ultime elezione lasciano pochi dubbi. E la vittoria è soprattutto quella di Giorgia Meloni, che lavorando sodo dall’opposizione è riuscita a cavalcare il malcontento sociale soffiando alla Lega di Matteo Salvini il ruolo di capitano del popolo, dopo il fallimentare affaire con l’M5S. Dopo anni in cui il Partito Democratico ha fatto acrobazie per rimanere in area di governo, il Centrodestra è tornato solido e compatto, vincendo da solo e senza appello. Una vittoria adombrata dal tasso di astensionismo più alto della storia repubblicana, ma comunque una vittoria incontestabile.
L’Italia, diceva Sgarbi, è strutturalmente un Paese di destra: ma destra e sinistra non sono contenitori stabili. Il loro significato cambia a seconda delle stagioni politiche e dei temi in voga: cosa vuole dire, dunque, essere di destra all’epoca di Giorgia Meloni?
Il trionfo meloniano va contestualizzato nell’ambito dell’ascesa del sovranismo. Quest’ultimo rappresenta essenzialmente la rottura della destra con il suo storico legame con il liberalismo: il focus non è più su libero mercato, tasse e questioni economiche, bensì immigrazione, influenze europee e difesa della “tradizione”. L’interlocutore elettorale privilegiato non era più l’imprenditore o la classe media, bensì artigiani, negozi, lavoratori. Le modalità di comunicazione sono divenute estremamente più aggressive e un marcato sapore eversivo e populistico: certamente ha ragione chi dice che l’ascesa del sovranismo è stata resa possibile, essenzialmente, dalla diffusione dei social network presso tutte le fasce di popolazione, tra cui adulti e persino anziani.
L’esplosione del sovranismo ha reso obsoleta la destra precedente, causando la decadenza di Forza Italia (partito, del resto, essenzialmente televisivo) e modificando profondamente gli equilibri politici europei. Il caos ideologico di quegli anni ha portato anche ad allineamenti politici imprevedibili: in particolare con il Movimento Cinque Stelle, partito difficile da inquadrare ma portatore di istanze indubbiamente “sovraniste”. L’uomo forte di questa corrente è stato, per la maggior parte dello scorso decennio, Matteo Salvini, il primo a intuire (grazie soprattutto a Luca Morisi, il suo geniale social media manager) la necessità di nuove forme di comunicazione. Le felpe con i nomi dei paesini, i post su Facebook polemicissimi con scritte colorate, il recupero di temi quali il crocifisso e le feste di paese: tutto riflette l’immagine di una destra più eversiva e più conservatrice, che recupera temi che in passato erano propri solo dell’estrema destra (FN e CasaPound).
Oggi tutto questo ci sembra ridicolo ma pochi anni fa il successo fu travolgente. Galvanizzati dal referendum sulla Brexit, i sovranisti passarono all’attacco, e all’alba delle politiche del 2018, l’Italia si trovò davanti il primo governo sovranista di sempre: il famigerato “governo del cambiamento” gialloverde. L’eco politica fu forte anche in Europa, dove si temeva ormai che l’internazionale sovranista avrebbe preso il controllo del continente schiacciando per sempre le democrazie liberali. Gli economisti di tutta la Penisola tremavano di fronte a cosa avrebbe comportato, per l’economia nazionale, l’applicazione simultanea di Reddito di Cittadinanza, Flat Tax e Quota 100.
Sappiamo come andarono le cose: il governo del cambiamento ebbe vita breve, a causa soprattutto del maldestro colpo di mano salviniano. L’M5S si sentì costretto al matrimonio morganatico con il PD, l’odiatissimo nemico di sempre. In fin dei conti l’anno del governo gialloverde fu catastrofico per i risultati elettorali dei sovranisti. Né la Lega né l‘M5S tornarono più sopra al 15%: i temi e le forme di comunicazione cominciarono a stufare.
Tuttavia, silenziosamente, Giorgia Meloni fabbricava il Sovranismo 2.0. Fino a pochi mesi prima delle elezioni, nessun osservatore aveva notato la lenta crescita di consensi di Fratelli d’Italia, improvvisamente leader della coalizione di Centrodestra, trascinandosi dietro il cadavere di Forza Italia e il Capitano detronizzato. Coalizione che è corsa, ricordiamolo, con un programma noiosissimo, assolutamente privo degli elementi quasi cartooneschi con cui i sovranisti corsero nel 2018. Conscia della sua pessima reputazione internazionale di fascista, Giorgia Meloni inizia la campagna elettorale giurando fedeltà alla NATO e alle istituzioni europee.
Il cambio di mentalità è evidentissimo. Il sovranismo è diventato realista: niente più proclami apocalittici contro l’Euro (Giorgia è fin troppo cosciente del fatto che i piani alti di Bruxelles posso facilmente fare fuori un governo, come accadde a Berlusconi nel 2011). Il programma è modesto e realistico, si cerca di dare l’impressione di competenza e serietà all’estero. Il sovranismo ha trovato la sua versione razionale e strategica: niente più romanticismo rivoluzionario, niente mandiamoli a casa! Ed endorsement a Putin. Giorgia sa che la sua vittoria deve molto alla crisi della sinistra e all’angolo di manovra lasciato dall’astensionismo: non vuole strafare. Il sovranismo è diventato governance. Forse, in questa forma, durerà di più: certamente, è molto più insidioso.