Un medico di fama ammazzato con una pistola giocattolo modificata: segreti, alibi e un’ombra di connessione con Anello, il servizio segreto anticomunista, nel mistero che ha avvolto l’omicidio del diabetologo per oltre tre decenni.
MILANO – Quando un medico muore ammazzato si pensa sempre ad un paziente vittima di chissà quali negligenze, oppure ad un collega invidioso e, perché no, ad una amante gelosa. Nulla di tutto questo si è potuto ipotizzare per l’omicidio del professor Roberto Klinger, 67 anni, ucciso con tre colpi di pistola giocattolo modificata, marca Molgora 7.65, il 18 febbraio 1992, praticamente sotto casa. Il professionista, dalla vita irreprensibile, diabetologo di chiara fama alla clinica Pio X, già medico dell’Inter e del Basket Cantù, era stato sorpreso dal killer a bordo della sua Fiat Panda celeste, pronto per recarsi in clinica.
Alle 7.25 del mattino tre colpi secchi echeggiavano fra via Muratori e via Friuli, a poca distanza dal civico 29 della stessa via Muratori dove abitava il medico. Due proiettili raggiungevano Klinger alla testa mentre uno gli perforava il torace. Decesso istantaneo. Subito dopo le sirene della polizia squarciano il silenzio irreale che si era venuto a creare intorno all’auto con dentro il cadavere intriso di sangue e riverso sul sedile di guida. Mentre la polizia eseguiva i rilievi di rito una studentessa, a spasso col suo cane di mattina presto, riferiva agli agenti della Omicidi milanese di aver udito gli spari e di aver visto un uomo correre verso la vicina via Cadore. Si tratterebbe di un giovane, alto 1 metro e 75, capelli corti, scuri e ricci. Nessun altro particolare.
Gli investigatori torneranno in via Muratori più volte se è vero, come è vero, che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Hai visto mai? Ma niente da fare, non se ne ricava un ragno dal buco. Le indagini segnano il passo perché oltre la ragazza non c’è uno straccio di testimone che possa aiutare a dipanare l’intrigata matassa, atteso che Klinger non ha mai avuto una doppia vita e non ha scheletri nell’armadio. Almeno all’apparenza. Poi quella che sembrava una svolta: il neuropsichiatra Franco Zarattini, collega della vittima, si presenta in questura e parla con l’ispettore Antonio Scorpaniti, napoletano verace e investigatore di lungo corso.
Il dottore, nel merito dell’omicidio, racconta di un altro medico che sei anni prima era stato ricoverato presso la clinica Pio X per un’ernia, ma lo stesso Zarattini l’aveva dimesso quasi subito perché mostrava segni di squilibrio mentale. Il paziente aveva denunciato il fatto e chiesto un risarcimento miliardario, sostenendo che a causa di quelle dimissioni le sue condizioni di salute erano peggiorate, tanto da doversi sottoporre ad un intervento chirurgico. I medico, di nome Alessandro Luca Pieretti, aveva citato Klinger come teste ma lo stesso professore aveva condiviso la decisione di dimetterlo.
Pieretti è un medico con diverse specializzazioni e con una vasta conoscenza giuridica. Il professionista, a seguito degli eventi occorsigli, veniva esonerato da incarichi clinici. In più occasioni Pieretti si sarebbe dimostrato di indole violenta e sarebbe stato visto girare con due pistole sotto il camice per poi aggredire un paio di persone. Il dottore fa ancora di più: ammazza un cane dentro un parco pubblico e la Prefettura gli ritira il porto d’armi a cui seguiva il sequestro di rivoltelle e munizioni. Il movente c’è e la fisionomia criminale non manca. Il medico, difeso dagli avvocati Armando Cillario e Giovanni Marconi, ha però un alibi.
La mattina dell’omicidio ha accompagnato la fidanzata e la suocera ad un’udienza della Commissione tributaria. Gli investigatori, però, riescono a dimostrare che l’indagato avrebbe potuto ammazzare Klinger e tornare per tempo nella propria abitazione. In casa manca proprio una pistola 7.65, che fine ha fatto? Un teste, per di più, riconosce Pieretti come l’uomo che per diversi giorni si sarebbe appostato in via Muratori. Dopo due anni di indagini il Pm Claudio Gittardi chiederà al Gip Fabio Paparella l’arresto di Luca Pieretti. Il Gip respinge la richiesta ma il tribunale del Riesame opterà per l’arresto. Nel frattempo l’avvocato Cillario parlerà di errore di persona. Una tesi difensiva che, come pare, nemmeno l’indagato aveva condiviso.
Il legale aveva scoperto che nel condominio di via Muratori abitava un condomino assai somigliante al professor Klinger. Il medico dunque sarebbe stato freddato al posto del padre di un ragazzo che, in Sicilia, aveva ricevuto minacce dalla mafia per non aver pagato il “pizzo“. Pieretti prendeva le distanze dal suo difensore sino a togliergli il mandato ma la Cassazione, pronunciatasi durante questo intervallo di tempo, dava ragione al medico: niente arresto e nessun rinvio a giudizio. Il medico sospettato di omicidio veniva prosciolto a tutto tondo:
“Non ho mai creduto all’errore – ha detto più volte il professor Marco Klinger, chirurgo plastico e figlio della vittima – é stato qualcosa che si è accavallato con la vicenda di un paziente. Qualcosa collegato a un paziente, alla sua storia di vita. Mio padre non c’entrava niente con la politica. La sua vita privata era con noi, in famiglia. Non era un arrivista. Non aveva mai speculato su niente. Il denaro per lui era un mezzo per esercitare la sua generosità e per stare bene, in allegria noi in famiglia. Sono convinto che non sia stato colpito per errore. Mio padre aveva un brutto vizio, se vogliamo dire così: quello di essere un po’ anche il confessore dei pazienti. Era molto tranquillizzante. Forse qualcuno temeva che papà avesse appreso qualcosa di scomodo…“.
Dopo tre anni dall’omicidio e dall’archiviazione del caso, arriverà una lettera anonima. Un foglio scritto a macchina, accompagnato dalla fotocopia del ricettario di Klinger. Lo scrivente afferma di essere il vero assassino e di aver voluto uccidere quella “anima prava” ma il redattore della missiva non verrà mai identificato.
Per quasi 31 anni l’omicidio di Roberto Klinger è rimasto avvolto nel mistero più assoluto. Poi uno spiraglio di luce: la verità potrebbe essere nascosta in alcuni atti sul processo della strage di Bologna. I documenti farebbero emergere rapporti tra il medico assassinato e uomini dell’Anello, il servizio segreto anticomunista, occulto e parallelo, sorto a metà degli anni ’40.
Un altro scenario emerge in una nota del ROS dei carabinieri che, però, non risulta essere stata mai trasmessa alla Squadra Mobile di Milano, titolare delle indagini sull’omicidio del medico di via Muratori. Nel capoluogo lombardo sarebbe dovuta sorgere una struttura sanitaria finalizzata, in prima istanza, alle cure degli appartenenti all’Anello. Il documento riprende le dichiarazioni rese ai magistrati di Brescia da Michele Ristuccia, importante esponente dell’organizzazione occulta. Sarebbero stati presi contatti con medici specialisti da impiegare in cliniche acquistate con denaro americano. Si parlava di due ospedali che sarebbero dovuti diventare luoghi di ricovero preferenziale per gli appartenenti al servizio segreto. Chi e perchè ha ucciso Roberto Klinger?