A quasi un quarto di secolo dalla morte di Gino Ilardo sono ancora molti i segreti che gravano sulle sue rivelazioni. Rimane da chiarire il ruolo della vittima ed altri aspetti inquietanti che riguardano alcuni apparti dello Stato.
Caltanissetta – Mafioso o collaboratore di giustizia? Lo Stato deve ancora decidere dopo 24 anni dalla sua morte. La famiglia del boss pentito, poi infiltrato, ne rivendica l’impegno profuso a collaborare con le istituzioni che poi lo avevano abbandonato. Le confessioni di Luigi Ilardo, personaggio di spicco della mafia di Vallelunga Pratameno e cugino di Giuseppe “Piddu” Madonia, avevano portato all’arresto di numerose persone di un certo calibro appartenenti alla criminalità organizzata siciliana.
La stessa cattura di Bernardo Provenzano si deve alle rivelazioni di Ilardo che da boss diventerà prima fonte confidenziale, alle dipendenze operative del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, con il nome in codice di “Oriente”, e poi collaboratore di giustizia a tempo pieno. A un anno dalla sua decisione di ripudiare cosa nostra Luigi Ilardo detto Gino veniva ammazzato a colpi di pistola a Catania, sotto la sua abitazione di via Quintino Sella, il 10 maggio 1996.
La mano assassina sarà quella di Orazio Benedetto Cocimano, poi condannato all’ergastolo, in secondo grado, assieme ai mandanti Vincenzo Santapaola e Piddu Madonia, e all’organizzatore del delitto Maurizio Zuccaro. Da allora la famiglia aspetta dallo Stato il riconoscimento ufficiale di collaboratore di giustizia attesi i servizi che Gino Ilardo aveva svolto per nome e conto degli investigatori.
La morte dell’uomo, sposato con quattro figli, sarebbe stata decisa e organizzata grazie ad una fuga di notizie che dall’ambiente giudiziario sarebbe rimbalzata sino ai vertici di cosa nostra. Fatto questo ancora più inquietante se si considerano anche altri dubbi e perplessità sui comportamenti di certi uomini delle istituzioni prima e dopo il delitto dell’ex boss nisseno:
”… È indecoroso che, a 24 anni dalla sua morte, mio padre si trovi ancora in un limbo: tra l’essere mafioso e collaboratore di giustizia – dice la figlia Luana Ilardo – una condizione d’indefinitezza paradossale che ha lasciato la mia famiglia sola, abbandonata dallo Stato. E che non rende merito a quello che mio padre ha fatto per le istituzioni…Mio padre aveva deciso di mettere a nudo i segreti che legano mafia, massoneria e pezzi dello Stato…
…Aveva preannunciato a tre magistrati con i quali s’incontrò a Roma che avrebbe fatto luce sui mandanti delle stragi…Il fatto che mio padre fosse una fonte confidenziale è venuto fuori tre anni dopo la sua morte. So che post-mortem non può essergli riconosciuto lo status di collaboratore ma credo sia giusto riabilitare il suo nome. Ha fatto cose importanti per il nostro Paese, eppure è stato dimenticato…”.
La famiglia di Gino Ilardo non avrebbe mai saputo nulla della realtà in cui viveva il congiunto e delle decisioni che aveva preso. Nemmeno dopo la sua morte: ”…Il fatto che mio padre fosse una fonte confidenziale è venuto fuori tre anni dopo l’omicidio – aggiunge Luana Ilardo – non ho mai ricevuto uno sterile telegramma da parte di nessuno. C’è stato un silenzio assordante. Mi sarei aspettata un atteggiamento diverso. Hanno fatto tutti finta di niente. Ci si riempie la bocca di legalità. Ma se lo Stato non tende la mano alle persone che provengono da contesti sbagliati, difficili, come si può pensare di fare toccare con mano questa legalità?…”.
La rivelazione più importante del pentito e operatore sotto copertura giunge alle orecchie dei Ros il 31 gennaio del 1995. Oriente indica ai carabinieri il nascondiglio di Zu’ Binnu ‘u tratturi, al secolo il superlatitante Bernardo Provenzano, capo indiscusso della cupola mafiosa, che si nascondeva in una masseria di Mezzojuso in provincia di Palermo. L’operazione, però, verrà sospesa dai vertici del Ros che, anni dopo, saranno processati e assolti.
L’ordine di uccidere Gino Ilardo era arrivato dal carcere per bocca di Giuseppe Madonia, cugino del pentito. Il boss ne chiedeva l’eliminazione atteso che Ilardo, nel frattempo, era stato isolato all’interno della compagine criminale. Rimane ancora da chiarire come abbia fatto cosa nostra a sapere del “tradimento” di Gino Ilardo. All’epoca dei fatti autorevoli personaggi delle forze dell’ordine parlarono di informazioni provenienti da apparati istituzionali. E non sbagliavano.
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