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Bullismo, una ferita aperta

Un problema che sta flagellando le generazioni più giovani. Il quadro generale è preoccupante e le misure atte a contrastarlo non sembrano essere all’altezza della situazione.

Roma – In una società come quella in cui viviamo, in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale sono assurte al ruolo di nuovi demiurghi a cui tutti si prostrano per le loro virtù salvifiche, c’è una piaga che si estende sempre di più, senza riuscire a rimarginarsi. Stiamo parlando del bullismo, che infido e silenzioso come un serpente ha raggiunto cifre da raccapriccio.

In generale, per bullismo si intende: “una relazione di abuso di potere in cui avvengono dei comportamenti di prepotenza in modo ripetuto e continuato nel tempo, tra ragazzi non di pari forza, dove chi subisce non è in grado di difendersi da solo”. Secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), 1 adolescente su 5 è vittima di violenza fisica e psicologica una o due volte al mese. Il 10%, invece, almeno una volta. Il fenomeno si è talmente diffuso che ogni anno viene celebrata, il 7 febbraio, la Giornata contro il bullismo, per sensibilizzare l’opinione pubblica e aiutare le famiglie ad uscire da questa spirale. I dati di cui sopra fanno parte di una ricerca molto accurata da parte del nostro istituto di statistica e si riferiscono al 2020, l’anno del primo lockdown. Ne viene fuori un quadro terrificante.

1 adolescente su 5 è vittima di violenza fisica o psicologica.

I ragazzi che subiscono violenza rappresentano il 19%. Si tratta di aggressioni ripetute, minacce verbali e attraverso i social che innescano un meccanismo perverso di soprusi e angherie, come l’invito a togliersi la vita. Basta leggere le cronache quotidiane per rendersi conto della banale gratuità di atteggiamenti di questo tipo e della sciatteria etica e morale in cui sono stati educati gli attori di queste “imprese eroiche”. La rete è talmente diventata pervasiva che il fenomeno si è diffuso e sviluppato attraverso essa. Tanto che si parla “cyberbullismo”, ormai da qualche anno.

Secondo la Fondazione Carolina Picchio, sorta per la prevenzione e la cura contro il bullismo e altri disagi online di bambini e adolescenti, coinvolgendo scuole, famiglie e istituzioni, il fenomeno è in forte crescita. Prima del lockdown, in media, arrivavano 50 segnalazioni al mese, dopo circa 300. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Sconosciuto, invece, il numero del sommerso, di quella zona, cioè, di cui non si sa nulla, perché, spesso, i ragazzi non si confidano per vergogna, per timore o perché non sanno con chi parlarne.

I social hanno esacerbato questa piaga, perché rappresentano uno strumento rapido, immediato ed efficace per raggiungere lo scopo. La prima vittima accertata di cyberbullismo in Italia, è stata Carolina Picchio, cui è stata dedicata la fondazione. In seguito, nel 2017, con la Legge 71, il Parlamento ha cercato di fornire per la prima volta una precisa definizione di questo fenomeno. Ma non bisogna limitarsi solo ai dati e alle esperienze, il percorso da fare è il coinvolgimento dei genitori. Infatti, gli atti dei ragazzi, spesso, sono il risultato di quelli degli adulti.

La Fondazione Piccolo e l’Associazione dei pediatri italiani hanno condotto uno studio da cui emerge che molti genitori delegano il racconto della buonanotte ai bambini ad Alexa. Non una baby sitter in carne e ossa, ma una cosiddetta “assistente intelligente” con voce e nome femminili. 

Spesso le angherie vengono filmate e pubblicate sul Web.

È lo strumento, ideato da Amazon, per dare agli utenti la possibilità di interagire tramite comandi vocali con algoritmi capaci di offrire una lunga serie di opportunità. È chiaro che comportamenti del genere non possono non avere effetti sullo sviluppo cognitivo e sull’educazione dei ragazzi. Sia il bullismo che la sua versione tecnologica sono le due facce della stessa medaglia, da cui nascono malessere psicologico e problemi di relazioni tra i ragazzi. 

Se la situazione standard delle famiglie italiane quando si ritrovano a tavola, è quella di smanettare coi dispositivi elettronici, invece di relazionarsi, come può un bambino avere modelli di riferimento? Ormai è un problema di salute pubblica che come tale va affrontato, anche confrontandosi con le big tech, affinché rispettino il limite d’età sulle loro piattaforme. E, soprattutto, l’aspetto dirimente è che gli adulti facciano gli adulti.                               

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