Una pianta associata alla fedeltà sentimentale e alla resistenza, rivela una sua variante con risvolti insidiosi per gli esseri umani. Specie infestante, è approdata in Italia da Asia e Nord America.
Roma – L’edera comune è una pianta rampicante sempreverde. L’etimo deriva dal latino haerere (essere attaccato) che spiega più di ogni altro termine la peculiarità della pianta. Molto nota come pianta ornamentale, cresce anche spontanea in luoghi ombrosi e umidi, strisciante e abbarbicata su ruderi e muraglioni o al tronco degli alberi. Quest’ultimi possono anche subire danni dalle folte e, talvolta, opprimenti volute, che arrivano a essere lunghe anche 20-25 metri.
Questa pianta era nota anche nell’antichità, tanto da essere considerata sacra al dio Bacco. Infatti, nei banchetti i Greci si cingevano di corone di edera. La sua capacità di restare incollata alle superfici su cui si deposita è diventata proverbiale, tanto che è simbolo di fedeltà in amore. Per questi motivi si dice che “dove si attacca muore”. Fuori dall’ambito botanico è da ricordare come l’effigie di questa pianta è stata per decenni il simbolo del Partito Repubblicano Italiano (PRI). Oppure è diventata il titolo di una canzone presentata da Nilla Pizzi al festival di Sanremo del 1958, L’edera appunto.
È la storia di un amore tormentato e intenso, tipico del melodramma, che pare attirasse i giovani di quel periodo. Ma l’allarme da dove scaturisce? Dopo quasi un secolo è ricomparsa una sua variante, quella velenosa, che può provocare danni di un certo rilievo per l’uomo. Già solo sentire il suo nome fa scattare una sorta di insofferenza compulsiva. Si chiama Toxicodendron radicans, che pur non essendo tipica dei nostri territori, è riuscita a inserirsi così bene da “naturalizzarsi” con facilità. La pianta è originaria del Nord America, ma se ne trovano esemplari anche in Cina. L’allarme sulla pericolosità del suo veleno è stato dato dalla Società Botanica Italiana.
La “naturalizzazione” di questa pianta è stata registrata a Sassi Neri nei pressi di Impruneta (Firenze) e non è stata né la prima né sarà l’ultima invasione biologica del nostro territorio. Generalmente, la pianta preferisce venire alla luce in territori in cui il clima può variare da essere “artico” a “temperato”, come quello del Nord America e della Cina. Questa presenza “anomala” in zone non sue, è la conseguenza dei cambianti climatici. Quindi, soprattutto, dell’uomo. Continuiamo a darci la zappa sui piedi da soli! Sempre secondo gli esperti della Società Botanica Italiana, l’edera velenosa, oltre a essere estranea alle nostre zone, rappresenta anche una minaccia per le dinamiche naturali. Inoltre, può avere effetti nocivi per la biodiversità autoctona e in alcuni casi, i suoi esiti possono ritorcersi direttamente contro la specie umana.
È noto l’uso dell’edera “comune” in vari settori. Ad esempio nella cosmetica è utilizzata per le sue proprietà tonificanti e drenanti contro la cellulite, ritenzione idrica e gonfiori, ma anche per la cura dei capelli e piccole irritazioni e scottature. La sua somiglianza fisica con quella “velenosa” potrebbe scatenare una serie di problematiche per l’uomo, tra cui: arrossamento, gonfiore, formazione di vescicole a distribuzione lineare e dal contenuto sieroso, prurito, bruciore. Se ingerita, poi, può provocare: irritazione alle mucose, nausea, diarrea, coliche intestinali, danni renali. Quindi, d’ora in poi, massima attenzione al tipo di edera, perché se si attacca, ci avvelena!