Gender gap: sempre peggio per le donne

Le donne pagano sempre più degli uomini: dal rasoio ai deodoranti. Guadagnano circa il 10% in meno e sono oggetto di mobbing e molestie ovviamente più dei signori maschi. La parità di genere rimane soltanto una parola.

Roma – Il gender gap è molto ramificato. Il gender gap, il divario esistente tra le condizioni femminili e quelle maschili è, ahimè, un aspetto peculiare delle società moderne. Nonostante si sia fatto parecchio, l’equità sociale è ancora in là da raggiungere.

Non c’è solo il gender gap salariale, ovvero il divario tra gli stipendi degli uomini con quelli delle donne, ma ce sono tanti altri per cui, almeno da questo punto di vista, è conveniente nascere col fiocco azzurro piuttosto che rosa sulla porta di casa. Secondo uno studio dell’Osservatorio Nazionale di Federconsumatori (associazione senza fini di lucro per l’informazione e la tutela di consumatori ed utenti) le donne guadagnano in media quasi il 10% in meno rispetto ai colleghi uomini.

Il divario non esiste solo a livello salariale, ma è esteso in altri settori. Ad esempio nei servizi finanziari raggiunge il 20%. Le uniche eccezioni si manifestano nell’edilizia e nelle utilities, dove le lavoratrici guadagnano più degli uomini.

Le utilities rappresentano, in riferimento a un settore o una singola società, il business relativo alla produzione, gestione e distribuzione di servizi quali energia elettrica, gas, acqua. Comunque, mediamente il sesso femminile percepisce 3009 euro in meno all’anno. Poiché il tema è scottante, qualcosa si è mosso.

Nell’autunno scorso la Camera dei Deputati ha dato l’ok per una proposta di legge a favore della riduzione delle diseguaglianze di genere per quanto riguarda il mondo del lavoro. Ma, come abbiamo detto, il divario non finisce qui. A dimostrazione di una concezione culturale che favorisce gli stereotipi a svantaggio del sesso femminile.

Prendiamo ad esempio la cosmetica, un comparto che per decenni ha visto la donna al centro dell’attenzione. Ebbene, i prodotti per le consumatrici sono, senza un motivo, più costosi, anche a parità di costi di produzione.

Misteri dell’economia o un modo, l’ennesimo, per defraudare ancora una volta le donne? Lo studio è stato condotto su 12 categorie di beni: 7 sono risultati più costosi per le donne. E’ il caso di deodoranti, prodotti per il trattamento del viso o la cura della persona. Le opzioni al femminile costano fino al 50% in più, a parità di prodotto, rispetto a quelli maschili. L’elenco è lungo.

Non possiamo non nominare i rasoi: l’unica differenza è il colore del manico, ma per il costo siamo alle solite, è più esoso per le donne. La stessa cosa è per le scarpe sportive ed i profumi. Le donne vedono alleggerire il loro portafoglio del 29% in più, a parità di marca e quantità.

Quindi gli svantaggi si manifestano pure quando si va a fare la spesa. Sul lavoro abbiamo assistito agli effetti più devastanti durante la pandemia proprio a carico delle donne. Poi ci si mette il legislatore a combinare guai. E’ il caso della tampon tax. Fino all’anno scorso l’aliquota Iva sugli assorbenti era del 22%, pari al tasso standard.

E’ la stessa che viene applicata sui beni di lusso. Considerare tale un bene utilizzato regolarmente dalla maggior parte delle donne è miopia politica, oltre che sfruttamento economico. Con la legge di bilancio, quest’anno è stata ridotta al 10%.

Ma siamo ancora lontani rispetto all’aliquota prevista per i beni di prima necessità, che è del 4%. Fino a quando queste condizioni di svantaggio non cesseranno, a soffrirne non saranno solo le donne, ma il concetto stesso di civiltà democratica!                                                                                

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