Donne e discriminazioni sul lavoro: quando l’impegno non basta

In ufficio perseverano i gap basati su stereotipi di genere e razza. Come superare queste barriere e promuovere (davvero) l’uguaglianza?

Le donne sul lavoro sono discriminate anche quando si impegnano con intensità. Donne e lavoro, un binomio, comunque, conflittuale. Sembra una maledizione, sono discriminate a prescindere! Ma più che nelle maledizioni o nei sortilegi che qualche spirito maligno ha lanciato contro di loro, le ragioni vanno ricercate nelle strutture socio-culturali.

Un report di Textio (piattaforma di scrittura che aiuta le aziende a scrivere annunci di lavoro più efficaci per aumentare la probabilità di trovare candidati qualificati per occupare quelle posizioni) ha evidenziato come le donne con performances lavorative molto alte, ricevevano una valutazione negativa, pari al 38% maggiore rispetto a quella maschile, basata più sulle loro caratteristiche individuali che sul risultato del loro lavoro.

E non è finita qui: il dato è ancora più negativo per le donne di colore. Sono stati sottoposti ad indagine oltre 23 mila dipendenti ed è stato dimostrato che quelli più efficaci sul lavoro ricevevano in genere 1,5 volte valutazioni rispetto agli altri. Il 38% di donne valutate negativamente, secondo la ricerca, può scaturire dall’interiorizzazione di considerazioni che si conformavano agli stereotipi sociali sulla loro identità demografica. Il problema è particolarmente evidente quando una valutazione è frutto di stereotipi razziali negativi, i cui effetti si riversano sulla propria autostima e sulle loro capacità lavorative. Secondo calcoli effettuati, i lavoratori hanno da 2 a 4 volte di probabilità di assorbire stereotipi positivi, al contrario le lavoratrici hanno 7 possibilità in più di subire stereotipi negativi.

ilgiornalepopolare mamme

L’aspetto deleterio del fenomeno è che queste valutazioni non vengono effettuate sulla professionalità delle dipendenti, ma su considerazioni che hanno poca o nulla attinenza con la loro posizione. Infatti, il 56% delle donne ha dichiarato di essere stata considerata “antipatica”, superiore al 31% delle persone non binarie e il 16% degli uomini. E’ proprio vero che le sovrastrutture culturali hanno un peso decisivo sul potere decisionale, anche su quello economico.

Ad un imprenditore dovrebbe interessare la competenza, la dedizione, i risultati raggiunti dai propri dipendenti e non altre categorie che col rapporto di lavoro non hanno nulla a che fare. Ed invece ancora oggi succede il contrario. Le lavoratrici, ad esempio, sono state definite al 78% come emotive, mentre agli uomini è toccato l’11% e ai non binari il 23%. Considerate “gentili”, “disponibili”, ma mai brave, competenti. E questo accade il 22% in più degli uomini. La stessa discriminazione è presente quando dal genere si passa alla razza. Inoltre il 67% degli uomini è stato considerato dotato di notevoli capacità intellettive, mentre le donne il 32%. La realtà aziendale è lo specchio con cui si manifestano le dinamiche sociali. Il fenomeno incide su tutto il processo della carriera.

Chi riceve maggiori valutazioni positive è avvantaggiato nella scalata della professione, guadagna di più e ha più possibilità di raggiungere le postazioni apicali. Cosa fare per arginare il fenomeno? E’ la classica domanda delle 100 pistole. Il sentiero per le soluzioni è irto di difficoltà, ma qualcosa va tentato, non si può restare inerti. Anche perché una situazione del genere provoca danni non solo a chi subisce considerazioni stereotipati, ma anche all’intera collettività. Bisogna iniziare dalla scuola con la didattica inclusiva, un orientamento educativo e didattico. Inoltre, formazione permanente per le aziende. Entrambe, orientate all’apprendimento dell’inclusività e all’uguaglianza di tutte le persone di fronte alle opportunità. E, infine, buttare nell’immondizia questa stramaledetta mentalità stereotipata!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa