PALERMO – RAPPORTI STATO-MAFIA: NINO D’AGOSTINO AVEVA SCOPERTO L’INTRECCIO E ANDAVA ELIMINATO

Il processo prosegue, con rito ordinario, a carico di Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto ma sulla vicenda rimangono da chiarire numerosi particolari e non poche persone che, all'epoca, ebbero gravi responsabilità sulla tragica vicenda.

Palermo – Fine pena mai per il boss Nino Madonia riconosciuto responsabile del duplice omicidio di Nino D’Agostino e della moglie Ida Castelluccio.

Il mafioso ha scelto il rito abbreviato mentre l’altro boss Gaetano Scotto, accusato dello stesso reato, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento aggravato, proseguiranno l’iter giudiziario previsto dal rito ordinario.

Dopo 32 anni da quella tragica mattanza del 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini la giustizia ha fatto il suo corso, almeno in parte. Adesso rimangono da identificare i mandanti di quell’odioso assassinio del poliziotto e della moglie in attesa di un bambino.

Nino e Ida

Il delitto, ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle istituzioni, come scrive in atti la Procura Generale di Palermo, ha avuto un seguito giudiziario piuttosto controverso proprio per questi motivi ma almeno, alla fine, gli esecutori materiali sono stati sbattuti in galera.

Anche se Scotto e Rizzuto, sino a prova contraria, sono ancora “presunti” colpevoli dei reati a loro ascritti. La sera del 5 agosto 1989 l’agente Agostino e la giovane moglie furono uccisi davanti all’ingresso dell’abitazione estiva della famiglia a Villagrazia di Carini, provincia di Palermo.

A sparare due killer che avevano raggiunto la coppia a bordo di una moto di grossa cilindrata. L’agguato durava pochi interminabili secondi e sull’asfalto intriso di sangue rimanevano due giovani, mano nella mano, che presto sarebbero diventati genitori. Le indagini si rivelavano da subito complesse e difficili soprattutto per stabilire un movente giustificato.

Il luogo del delitto

Nino Agostino, infatti, apparentemente era soltanto un agente addetto al servizio Volanti del commissariato di Palermo-San Lorenzo. Non aveva svolto attività investigativa né si era occupato di mafia. Poi la distruzione di diversi documenti olografi e l’impossibilità da parte della magistratura di accedere ad altri atti importanti.

Una volta accertata la vera identità professionale di Agostino in seno ai servizi di intelligence in uno con il silenzio di diversi pentiti e l’omertà di alcuni soggetti dei servizi segreti, gli inquirenti capivano di essere davanti ad un muro di gomma che per anni ha vanificato gli sforzi di quanti si sono cimentati nel raggiungimento della verità.

Grazie alla Direzione investigativa Antimafia di Palermo e alle inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia una larga parte della realtà dei fatti è venuta a galla e numerose persone, anche adesso, potrebbero non dormire sonni tranquilli.

Nino Madonia

Agostino, sotto copertura, aveva scoperto proprio quei rapporti opachi che intercorrevano fra esponenti di cosa nostra come Totò Riina ed altri boss, e responsabili corrotti delle istituzioni dello Stato che appartenevano alla base ed ai vertici del suo stesso ufficio. Per questo andava eliminato, grazie anche al tradimento del suo amico “Paolotto” al secolo Francesco Paolo Rizzuto:

”…Gaetano Scotto e Nino Madonia sono gli esecutori materiali dell’omicidio di Agostino e di sua moglie – dice l’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia – e non poteva essere altrimenti. Poiché Madonia era stato delegato da Totò Riina a mantenere i contatti con apparati dello Stato, polizia e servizi di sicurezza. Contatti che dovevano rimanere riservati e non potevano essere messi a rischio in nessun modo: per questo Nino Agostino era un ostacolo che andava eliminato. I depistaggi? Erano finalizzati a nascondere i responsabili che avevano operato in concorso con soggetti della polizia di stato e del Sisde…”.

Vincenzo Agostino

La vicenda, a rigore di logica, non è finita e non potrebbe:”… Provo una grande gioia ma questo è solo l’inizio della verità – ha aggiunto Vincenzo Agostino, 84 anni, padre dell’agente ammazzato – è la vittoria della magistratura onesta. Questa è una loro vittoria, ma principalmente di Nino, che non si è mai fatto corrompere. Mi auguro che anche i mandanti possano essere condannati. Spero che gli esecutori parlino e dicano la verità così si toglierebbero un peso. Le stragi di Palermo sono partite dall’omicidio di mio figlio…”.

Vincenzo Agostino non ha mai tagliato la sua barba dal giorno dell’omicidio. Lo avrebbe fatto solo quando avrebbe ottenuto giustizia. E non è giunto ancora quel momento

 

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