Prima invocano l’aiuto dello Stato, poi lo allontanano con fastidio. Ma in quanto a pagare le tasse… Il qualunquismo dilaga a macchia d'olio
Roma – Succede allo Stato quando interviene nell’economia. La pandemia ha causato una serie di problemi prima sanitari e sociali e poi economici. Si è resa necessaria una maggiore presenza dello Stato nell’economia, soprattutto in alcune imprese strategiche come Autostrade, Alitalia ed Enel. Negli ultimi tempi sulla stampa mainstream è stato dato risalto ai lamenti di buona parte dell’imprenditoria italiana per l’eccessivo intervento pubblico dello Stato. Le maggiori firme del panorama editoriale italiano hanno posto l’accento sulle possibili distorsioni perverse del management che distaccherebbe il proprio operato da quello delle imprese.
Addirittura il saggista, dirigente d’azienda ed ex senatore del centrosinistra Franco Debenedetti ha paventato il rischio di una deriva socialista ed il Corriere della Sera, a sua volta, ha stigmatizzato il ruolo invadente dello Stato che toglie spazio ai privati. Le parole d’ordine sono: “Intervenire solo quando c’è un problema; trovare risorse per le imprese e lasciar fare al settore che deve creare valore”. Si auspica, quindi, una rivisitazione del “laissez fare, laissez passer”, il motto del liberismo economico del XVII secolo.
All’epoca s’invocava che lo Stato non mettesse mano sull’economia, avendo una estrema fiducia nelle virtù autoregolatrici del mercato. Ora, sul piano finanziario, l’interpretazione prevalente del concetto di valore riguarda il libero scambio e si riferisce alla “quantità di denaro per cui è possibile che domanda e offerta di un bene economico , merce e/o servizio s’incontrino per perfezionare lo scambio”.
Se lo Stato deve intervenire quando c’è un problema e poi trovare le risorse per le imprese e lasciar fare al mercato, è troppo facile fare l’imprenditore. Ci riuscirebbe anche lo sprovveduto cronista che non è in grado nemmeno di fare i conti della serva. E’ altrettanto sacrosanto pretendere infrastrutture idonee ed adeguate alle nuove tecnologie. Anche risorse finanziare, se è il caso, però a qualcuno bisogna pure dare conto, o no? Si resta basiti di fronte al refrain di lamentele messe in moto da gruppi editoriali, i cui referenti hanno già avuto modo di godere di elargizioni statali a iosa.
Sono note a tutti, infine, le catastrofiche gestioni dei Benetton per la società Autostrade e dei capitani coraggiosi per Alitalia. Alla faccia delle virtù salvifiche ed autoregolatrici del mercato: senza l’intervento dello Stato (i contribuenti), le imprese in alto citate sarebbero belle che decotte. L’aspetto ignobile del nostro capitalismo è l’eccessiva differenza tra chi trae profitto (speculazione finanziaria e rendita parassitaria) e chi produce valore (chi interviene nel processo produttivo).
Dunque il problema è la redistribuzione della ricchezza tra gli attori che l’hanno prodotta, la grande evasione fiscale e non l’eccessiva presenza dello Stato nell’economia. Ci siamo già dimenticate le disperate invocazioni alle capacità taumaturgiche dello Stato nella prima fase della pandemia? Una continua ed incessante, anche se giustificata, richiesta di soldi da parte di tutti.
Anche di chi è stato evasore fiscale parziale e/o totale o elusore. Per non parlare dei finanziamenti elargiti alle grandi imprese, Fca in testa. Perché non si ricordano dello Stato quando ci sono da pagare le tasse attraverso le quali si potrebbe investire di più nei settori messi a dura prova dalla pandemia? Prima invocano l’aiuto dello Stato, poi lo allontanano con fastidio! Qualunquismo? Che andassero a quel paese: ci si troverebbero bene davvero.
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