Una cosa è certamente ambigua: la nonchalance con cui, a prescindere dalle direttive provenienti dall’alto, molte persone hanno rinunciato a tutto, persino al lavoro. Solo per timore di essere infettati come se normalmente questo rischio non ci fosse.
I Navigli sono deserti. È scomparsa la movida che animava, fino a una settimana fa, una delle zone più agitate del capoluogo lombardo. Inutile illudersi altrimenti: questo scenario da Waste land, presente tanto nel centro quanto nella periferia durerà sino all’8 marzo. Il decreto del Consiglio dei Ministri rinvia, tra le altre cose, la chiusura delle scuole in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, mentre le lascia aperte in Piemonte, Liguria e Friuli Venezia Giulia. E, come se non bastasse, bar e ristoranti sono soggetti a orari pesantemente ridotti, mentre sono pochi gli uffici postali aperti negli orari consueti. Ingiustizia o coerenza?
Una cosa è certamente ambigua: la nonchalance con cui, a prescindere dalle direttive provenienti dall’alto, molte persone hanno rinunciato a tutto, persino al lavoro, solo per timore di essere infettati, come se normalmente questo rischio non ci fosse. Lo smart working fa bene a chi può davvero optare per il telelavoro: inutile sostenere il contrario. I danni derivati dalla cancellazione delle gite scolastiche si traducono in perdite da oltre 300 milioni di euro. Le attività culturali, soprattutto quelle riconducibili al settore dello spettacolo, erano già agonizzanti, come gli stessi stipendi degli addetti ai lavori, ma adesso si può dire che sono letteralmente appese al filo del rasoio.
Chiudere un teatro significa chiudere fatica, talento, opportunità e conoscenza. Se nell’antica Grecia esso rappresentava il luogo d’incontro per eccellenza, la vera palestra culturale a disposizione di tutti i cittadini, compreso chi non poteva permettersi di istruirsi, oggi è solo un edificio che resta vuoto in attesa di riaprire, senza far parlare molto di sé. D’altronde, non c’è gusto a fare “teleteatro”, che senso avrebbero gli spettacoli teatrali “telematici” se in casa abbiamo Netflix e Disney Channel?
Il luogo in cui sperimentare il dubbio, la domanda, il vuoto esistenziale o la rinascita spirituale, sulla scia di testi drammatici o tragico-comici, impersonati dai professionisti della parola, delle emozioni e delle storie, sta urlando pietà. E non al coronavirus, ma alla nostra pigrizia intellettuale, che era già alimentata dallo spopolare delle piattaforme streaming a pagamento. Il risultato è che la nicchia ultra ristretta che caratterizzava il pubblico teatrale, di presunto alto o basso livello, si asciugherà ulteriormente. Forse è uno scherzo, non è vero che la cultura è annebbiata dalla popolarità di Internet, e che a teatro vanno solo i “vecchi”. O forse il Teatro è rimasto solo.
A contendergli la solitudine c’è il suo cugino cinematografo – sì, un tempo non veniva abbreviato – che spera a sua volta nella riapertura delle sale, che non si sa più quante persone attireranno dopo la rivincita dell’on demand e del web in questi giorni di quarantena. E pensare che l’indagine “Rapporto giovani” del 2017, commissionata all’Istituto Toniolo di Milano da Fondazione Ente dello Spettacolo, sottolineava che il 56% dei giovani intervistati vedeva almeno un film alla settimana. Faceva inoltre emergere che il 38% degli spettatori, solo nel Nord, preferiva recarsi in un cinema più lontano da casa, magari alla ricerca di una sala ipertecnologica. Per fortuna, nessuno diceva che il cinema non consente un’esperienza di socializzazione, ma è anche vero che il 17,8% preferiva usufruire della realtà aumentata in casa propria, attraverso l’home theatre e il 3D.
Ai milanesi, però, non è nemmeno venuto in mente di sdegnarsi per il superamento (super) precoce delle giornate di innalzamento di PM10 nell’aria, 36 in tutto verso la prima settimana di febbraio, contro le 35 massime stabilite dall’UE. Figurarsi rimpiangere la chiusura dei luoghi dell’arte.
Eppure, Milano sa essere volenterosa, tenace e molto creativa, quando vuole, e soprattutto quando di mezzo c’è la cultura. Il Museo Diocesano Carlo Maria Martini, per esempio, ha attivato un tipo di visita guidata molto particolare, indirizzato a soggetti a rischio marginalità come i non vedenti, nell’ambito di un progetto chiamato DescriVedendo. Si tratta di far vedere agli occhi della mente i quadri esposti nelle collezioni del museo, perché le parole hanno una potenza evocativa insostituibile (ci risiamo).
Quando usciremo nuovamente di casa, se ancora ne avremo voglia, respireremo un’aria indescrivibile, oserei dire fetente. Anche perché non piove quasi più, eppure nessuno ha protestato con l’autoisolamento contro la siccità crescente delle Penisola e contro la diminuzione della portata dei fiumi – che beneficia anche della neve stessa, oltre che della pioggia. Perché non è colpa della natura, ma della nostra disattenzione. È ostile il Covid-19 ma non l’indifferenza.