IN ITALIA SIAMO INDIETRO: IN RETE È PIÙ FACILE TROVARE BARZELLETTE SU GRETA THUNBERG CHE I SUOI ECOPROGRAMMI
Mentre il Nord dell’Europa premia i verdi, dietro la spinta dei movimenti ambientalisti, primo tra tutti il “nuovo movimento ambientalista studentesco”,“l’effetto Greta” non sembrava finora aver contagiato il nostro Paese.
E’ vero che qualche esecutivo ci aveva anche provato, ma le iniziative verdi intraprese dai governi, fino a questo momento, in Italia, si sono rivelate azioni di poco conto, quando addirittura non sono rimaste circoscritte alla sola carta sulla quale sono state vergate. Tuttavia, adesso, pare si avvertano i segnali positivi di un cambiamento di rotta.
Con il documento programmatico di bilancio, propedeutico alla manovra, si respira aria nuova e prende consistenza il piano verde annunciato, a inizio mandato, dall’attuale governo.
Il “Green New Deal”, come è stata definita la misura, fortemente voluta dal nuovo ministro dell’Ambiente Sergio Costa, prevede misure urgenti e non più procrastinabili in materia di tutela della salubrità dell’aria, delle acque e delle aree metropolitane più colpite dall’inquinamento. L’obiettivo è l’attivazione di progetti volti alla rigenerazione urbana, la riconversione energetica e la diffusione di fonti rinnovabili.
Il governo, per finanziare gli investimenti green, ha previsto due fondi da 50 miliardi di euro.
Si tratta di un piano spalmato su quindici anni, con il grosso degli investimenti programmati nel periodo finale, ma è pur sempre un inizio, quantomeno un segnale.
Diversi i punti verdi della manovra, ma altrettanti i balzelli per disincentivare le misure inquinanti, ormai definiti “tasse green”.
Aumentano le accise su carbone, petrolio e altre fonti fossili utilizzate per la produzione di energia; dal 2021 verranno tolti i benefici sul gasolio per l’autotrasporto e, soprattutto, nell’ambito del patto per l’ambiente annunciato dal Governo, è prevista l’introduzione della “plastic tax”.
La tassa di 1 euro al chilo sugli imballaggi di plastica, al via dal primo giugno 2020, porterà nelle casse dello Stato, insieme al taglio dei sussidi dannosi,1,7 miliardi solo nel 2020.
Un’aliquota molto alta, ufficialmente concepita con l’obiettivo di promuovere abitudini più eco-sostenibili, ma che potrebbe comportare ricadute occupazionali. Occorrerà, pertanto, un piano di sviluppo per la transizione dei lavoratori dei settori più inquinanti.
Sono in tanti ad aver pensato che la plastic tax possa rappresentare più un modo per fare cassa che non il frutto di un reale spirito ecologista.
Ma c’è anche chi, come Confindustria, teme gli effetti sul sistema economico, poiché la tassa rappresenta unicamente un’imposizione tendente a recuperare risorse, ponendo ingenti costi a carico di consumatori e imprese, penalizzando i prodotti e non i comportamenti. Le imprese, già oggi, pagano per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica.
E’ probabile che lo stato abbia colto la possibilità di un doppio effetto positivo: incassare e far sì che, nel frattempo, i comportamenti inquinanti e dannosi diventino sempre meno convenienti.
Tassare sic et simpliciter però non basta, occorre agire ed interagire facendo in modo che l’ambientalismo aiuti – e non penalizzi – le classi meno abbienti, guidando la transizione ecologica, minimizzando l’impatto per i ceti deboli e creando nuovi sbocchi occupazionali. La giustizia ambientale dovrà camminare di pari passo con la giustizia sociale.