In Italia si fanno le nozze con i fichi secchi

Il Bel Paese è strano davvero. Pensa di essere più furbo degli altri e poi resta con un pugno di mosche in mano. Come sempre.

Roma – Sul piano dell’economia, negli ultimi tempi, il dibattito pubblico si è incentrato sui soldi del PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza) che secondo i più ottimisti è lo strumento principe per la nostra rinascita. Non ci è dato sapere da dove scaturiscano previsioni del genere. Il dato certo, evidente, incontestabile è, purtroppo per noi, invece, rappresentato dalla nostra incapacità di spendere le risorse che arrivano da Bruxelles.

Tanto per dirne una, non siamo stati in grado di utilizzare i Fondi di Coesione riguardanti il periodo 2014-2020 e ci si meraviglia degli indugi sul PNRR. La parte non utilizzata va restituita. Si tratta di contributi finanziari per progetti a favore dell’ambiente e le reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti. Le opportunità ci sono ma se non si risolvono problemi atavici, ormai, faremo sempre le nozze coi fichi secchi. L’espressione molto popolare, sta a significare di voler fare le cose in grande senza avere mezzi finanziari sufficienti.

La bella Elena

L’espressione deriva dal titolo di un articolo del giornale partenopeo “Il Mattino” del 27 settembre 1896 dal titolo: “Le nozze coi fichi secchi”, in cui si commentava l’imminente matrimonio (celebrato il 24 ottobre 1896) tra il Re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia e la principessa Elena di Montenegro. Il riferimento ai fichi secchi riguardava la zona di provenienza della sposa, il Montenegro, famoso per la coltivazione ed essiccazione proprio dei fichi. Con la locuzione si voleva colpire il piccolo regno, che aveva dato i natali alla sposa, apprezzato ma povero, quindi di scarso peso nel contesto politico internazionale.

Secondo uno studio della Banca d’Italia, per realizzare un’opera ci si impiega mediamente 610 giorni. Di più al Sud, ben 685 giorni, imputabili alle amministrazioni locali, che notoriamente fanno le cose con… estrema calma. Al Centro-Nord 445. La fase di aggiudicazione, al Sud dura 172 giorni, al Centro-Nord 88, quasi la metà. Questo divario territoriale deriva da una mancanza di competenza delle amministrazioni locali, che si presentano con uffici disorganizzati e privi di personale all’altezza. Se non ci si mette mano con un progetto di semplificazione delle procedure e sburocratizzazione degli apparati e un piano di riqualificazione professionale, staremo sempre qui a qui a parlare di ritardi e inefficienze. E doveroso abolire sovrapposizioni di competenze che portano alla duplicazione di procedure e sopprimere, una buona volta, gli enti inutili.

Zero emissioni entro il 2050

La vera criticità è questa, il resto sono chiacchiere da campagna elettorale. Un altro aspetto poco dibattuto riguarda il patrimonio abitativo italiano. In virtù della direttiva europea sulle cosiddette “case green”, urge ripensare all’adeguamento energetico degli edifici. Il nostro Paese è costituito da case vecchie ed energivore. In Italia per “case green” si è inteso il “verde” delle finanze. Siamo senza soldi, e quando ci sono, non sappiamo investirli, che è peggio. L’Europa impone agli Stati una serie di misure per raggiungere l’obiettivo “emissioni zero” da attuare entro il 2050. Ad esempio, le costruzioni dovranno entrare nella classe energetica E entro il 2030. La classe energetica è un indicatore della qualità energetica di un immobile.

Per gli edifici pubblici, invece entro il 2027. Ed in classe D entro il 2033. Se si pensa che il 61% degli immobili si trova oltre le classe energetiche minime di tolleranza indicate dall’Europa, D e E, siamo messi proprio male. Solo un miracolo, in intervento divino potrà farci riuscire nell’impresa. Coi politici che abbiamo e la situazione venutasi a creare non ci resta che sperare nella Divina Provvidenza. Sul resto, meglio stendere un velo pietoso.

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