Dal 29 maggio al 3 giugno scorsi a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, si è svolta la sessione di lavoro di 175 delegati di tutto il mondo per raggiungere entro il 2024 un accordo sul ciclo di vita della plastica.
Roma – Com’è noto l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) è un’agenzia per la costruzione della pace attraverso la cooperazione internazionale nelle materie succitate. È ormai acclarato che la plastica è una fonte d’inquinamento presente sia sulla terraferma sia nei mari e negli oceani. Essa, col tempo, si riduce in piccole particelle (microplastiche o nanoplastiche) e succede spesso che vengano ingoiate da pesci e uccelli marini, arrivando fino a noi ed entrando nella catena alimentare. Il pericolo concreto è che nel 2050 gli oceani avranno più plastica che pesci.
Fino ad oggi si è assistito ad un abuso della plastica in quanto è poco costosa, senza considerare i suoi effetti dannosi all’ambiente in generale. Se si pensa che la produzione di plastica dipende ancora dalla petrolchimica che utilizza fonti fossili producenti emissioni climalteranti, ci si rende conto della gravità del fenomeno! Come ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu: “È un problema di clima, di natura e di salute. Per questo è urgente un trattato internazionale per la sua produzione e smaltimento”. E a stretto giro di posta il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato:
“L’inquinamento da plastica rappresenta una bomba ad orologeria. Bisogna mettere fine a un sistema che vede i Paesi più ricchi sbarazzarsi dei rifiuti di plastica a quelli più poveri, che spesso non hanno neppure i mezzi per trattarli”.
Lo scopo è un cambiamento del paradigma culturale, affinché si possa creare valore economico. Infatti, con la raccolta differenziata, il riciclo e il riutilizzo è possibile un incremento delle attività economiche, con la creazione di posti di lavoro e ricchezza. Secondo questa visione un trattato internazionale deve essere giuridicamente vincolante. Altrimenti si torna al punto di partenza, perché non si può scherzare col fuoco. La produzione annua di plastica ha raggiunto cifre astronomiche, fino ad arrivare a 460 milioni di tonnellate. Secondo le stime, questa cifra potrebbe triplicare nei prossimi quattro decenni.
Il 75% del materiale di plastica prodotto è rivolto al monouso, quindi utilizzato una o pochissime volte. A tal proposito, si consiglia, per evitare di consumarlo in eccesso, di utilizzare il materiale monouso più volte lavandolo finché regge. Anche perché sullo stesso processo di riciclo incidono sia i processi onerosi legati ad esso che il ridotto numero di volte che in media la plastica può essere riciclata, a differenza del vetro, ad esempio. È la classica situazione del cane che si morde la coda. Inoltre, oltre il 20% di questa gran quantità di spazzatura viene bruciato illegalmente, con conseguenze negative per l’ambiente. Mentre il riciclo a livello globale raggiunge la cifra del 10%. Ancora un basso livello. Comunque “meglio riciclare che non farlo”. Ed è in questa direzione che bisogna proseguire se non si desidera l’estinzione dell’essere umano.
L’aspetto cruciale è che la plastica è diventata l’opzione principale del design per troppo tempo, smaltendo gli scarti nei Paesi poveri. Su questa visione della società, si è fondata la struttura capitalistica, sia come modi sia come rapporti di produzione. “Fare tutto e subito” è stato il leitmotiv preponderante dalla Rivoluzione industriale dal 1780 ad oggi, con punte massime raggiunte negli ultimi decenni. È lo slogan “usa e getta” fa parte di questa concezione del mondo e della vita. Si confida che dopo questi incontri internazionali tra i maggiori esponenti di ogni nazione, siano messe in atto azioni concrete. Altrimenti le parole fuoriuscite a fiumi si saranno disperse nel pulviscolo atmosferico e noi continueremo ad essere circondati da una montagna di plastica.