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Sul riciclo dei rifiuti non ci batte nessuno. Ma c’è un rischio

Finalmente una classifica che vede l’Italia protagonista in positivo a livello europeo. Il sistema del riciclaggio dei rifiuti nazionale infatti si attesta al primo posto nel continente.

Milano – Il riciclo in Italia va a gonfie vele. Il fascino della parola riciclo deriva dal suo etimo. Infatti, è composta da ri (di nuovo) e ciclo, cerchio (dal greco kyklos). Richiama all’eloquente immagine di qualcosa che viene reimmesso in ciclo. Invece di uscirne, torna a ripercorrerlo. Negli ultimi 25 anni l’Italia è passata dall’ “emergenza rifiuti” all’eccellenza nel riciclo. Gli ultimi dati ci dicono che nel 2020 la raccolta differenziata dei rifiuti urbani è arrivata al 63%, mentre lo smaltimento in discarica è calato del 20%.

Questo sviluppo ha favorito l’industria del riciclo, tanto che sono circa 4.880 le imprese del settore, con 236.365 occupati e un incremento monetario pari a quasi 11 miliardi di euro. Ebbene, siamo primi in Europa in tanti aspetti negativi, ma lo siamo anche in questo settore! Il primato consta di rifiuti riciclati al 72%, con una media europea del 53%. Già nel novembre scorso, Assoambiente, l’Associazione delle imprese operanti nel riciclo, aveva fornito dati simili nel suo annuale studio: “L’Italia che ricicla”.

I dati summenzionati sono ricavati dal rapporto “Il riciclo in Italia 2022”, a cura della Fondazione Sviluppo Sostenibile e presentato nel dicembre scorso durante la Conferenza Nazionale dell’Industria del Riciclo: “L’eccellenza del riciclo e le sfide future”. Il presidente della Fondazione Edo Ronchi, già parlamentare, nonché ministro dell’Ambiente nei governi Prodi I e D’Alema I, ha dichiarato:

“Il settore del riciclo è un pilastro fondamentale per un’economia circolare e rappresenta una risorsa strategica per evitare sprechi, per non riempire il Paese di discariche e per ridurre le emissioni di gas serra. In un momento di difficoltà economica, sono necessarie azioni concrete per promuovere la domanda di materie prime secondarie (MPS) e per affrontare l’aumento dei costi dell’energia, che rappresentano la quota maggiore dei costi di produzione per l’industria del riciclo”.

Dopo questa sorta di peana, si è passati a una serie di proposte per far crescere la richiesta di MPS: un’aliquota IVA agevolata per il riciclo e allo stesso tempo un incremento del prelievo per i rifiuti smaltiti in discarica o negli inceneritori; appalti pubblici verdi (GPP, Green, Public Procurement) e, di conseguenza, i criteri ambientali minimi (CAM); il vincolo di reperire quantità minime di prodotto riciclato per poi essere utilizzato ai fini del progetto; il potenziamento dell’uso di materiale riciclato.

È conclamato che l’economia del riciclo favorisce una riduzione dei costi energetici. Questo processo necessita, però, della semplificazione burocratica delle procedure utili per le fonti rinnovabili. Ad esempio la semplificazione delle procedure produrrebbe vantaggi per la valorizzazione termica dei residui dei processi di riciclo per ottenere calore e impianti autoprodotti. Infine, si è proposto un Regolamento sui rifiuti, compresi quelli di imballaggio, che va dalla riduzione dei rifiuti d’imballaggio alla minimizzazione degli stessi; dalla riciclabilità degli imballaggi al loro riciclo in quantità e qualità elevate. Ora, se questo orientamento appare condivisibile ai più, non mancano le critiche.

Questo modello penderebbe troppo a favore del deposito cauzionale per il Governo di tutto il sistema degli imballaggi, a discapito di quello dei rifiuti, in ballo da 25 anni con ottimi risultati. Ora, a prescindere dalle diatribe, già il fatto che primeggiamo in un settore come quello del riciclo in Europa, dovrebbe farci andare tutti in “brodo di giuggiole”. Speriamo che quanto emerso dalla Conferenza Nazionale dell’Industria del Riciclo non sia frutto di atmosfere oniriche e non ci faccia tornare alla triste realtà quotidiana. In questo caso sarebbe una violenta delusione.             

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