Va bene tutto ciò che ci possa rendere indipendenti da petrolio e gas purché gli impianti alternativi non sino fonte di guai per la salute e per le già esauste tasche. La politica gioca un ruolo fondamentale ma in quanto a fonti rinnovabili non siamo messi bene. L’attuale Governo spinge anche in questo settore e vedremo che cosa saprà fare.
Roma – Lo stato di salute della transizione energetica all’italiana non è ottimale. La crisi economica e la guerra in Ucraina hanno posto all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi il problema del caro energia. Ogni Stato europeo punta agli approvvigionamenti di energia non solo per adesso ma soprattutto per il futuro. Le energie rinnovabili sembrano la soluzione ideale per ambire all’indipendenza per ogni forma di energia.
Dunque come siamo messi nel Belpaese? Secondo l’Alleanza per il fotovoltaico, nata dall’unione di 25 operatori energetici impegnati in investimenti per la realizzazione di impianti “utility scale” (scala di utilità), abbiamo 40 gigawatt di progetti per impianti solari, che aspettano di essere autorizzati e, quindi, al momento sono bloccati. Secondo fonti ministeriali il 52% dei 322 impianti solari giacciono ancora all’inizio dell’iter burocratico. Solo il 42% ha ottenuto il placet per la fase successiva di approvazione. Bisogna darsi una mossa, altrimenti il rischio è di non rispettare gli accordi di Parigi, stipulato nel 2015 sulla riduzione delle emissioni di gas serra.
La vulgata corrente afferma che uno dei motivi che ostacolano la realizzazione degli impianti è il cosiddetto NIMBY. L’acronimo, dall’inglese Not in My Back Yard, tradotto con “non nel mio cortile” e sta ad indicare le proteste di una comunità locale per la realizzazione di opere pubbliche, quali termovalorizzatori, discariche, centrali elettriche, depositi di sostanze pericolose e simili. Tutte opere che, com’è intuibile, hanno un rilevante impatto ambientale. Visto quello che è stato costruito sul territorio italiano, qualche remora è lecita averla, anche se si tratta di investimenti per l’ambiente. Inoltre, un altro motivo è di carattere tecnico. Al momento, sono stati autorizzati impianti con una potenza molto bassa.
Gli esperti sostengono che le rinnovabili oltre a portare all’autoproduzione energetica, sono molto tollerate economicamente. Pare che il fotovoltaico, anche senza incentivi, costa mediamente un terzo in meno del gas. La ricchezza di energie rinnovabili sul nostro territorio potrebbe generarne, addirittura, 100 gigawatt nel prossimo decennio. Una cifra che ci permetterebbe di coprire il 70% del nostro fabbisogno energetico. Le proteste delle comunità locali pongono il problema su dove collocare gli impianti. Il fotovoltaico è considerato responsabile dell’eccessivo consumo di suolo agricolo. La soluzione a questa criticità potrebbe essere l’agrifotovoltaico.
Ovvero un ibrido, metà agricoltura e l’altra rinnovabile. Si tratta di produrre energia, ad esempio, coi pannelli solari, senza sottrarre terreni produttivi all’agricoltura, integrando le due attività. La regione Puglia, in cui gli Dei Elio, Poseidone e Eolo non si sono certo risparmiati nel fornirla di sole, mare e venti, è dotata di circa un milione di ettari utilizzabili per l’agrifotovoltaico. Bisognerebbe seguire l’esempio di nazioni virtuose come la Germania, che si è posta un nuovo obiettivo: produrre 400 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2015. Intanto, ha già manifestato la volontà di dismettere le sue centrali nucleari.
L’iter è facilitato dall’assenza di una burocrazia elefantiaca come la nostra. Celerità e competenza certo, ma il rischio nel nostro Paese è che questi due elementi possono essere sostituiti da approssimazione e superficialità. In questo modo, potremmo trovarci con impianti non a norma, di cui la cronaca è, purtroppo ricca di casi di questo tipo. Occhio alla penna, dunque!