Tutto quello che volete ma carne e pesce che puzzano di laboratorio proprio no! Vogliamo cibo naturale, salutare e sostenibile. Il sintetico è già tanto che esiste per indumenti, tecnologia ed elettronica. Guai alle multinazionali se ci toccano il cibo Made in Italy. Potrebbe scapparci il morto…
Roma – Mangeremo cibo sintetico? Ormai è acclarato che il cambiamento climatico e la crisi ambientale, oltre ai danni devastanti quali siccità, alluvioni e frane, hanno avuto un impatto deleterio anche sulla catena alimentare. L’Unione europea sta spingendo per la diffusione di diete con minor impatto ecologico e a base di prodotti vegetali. Da qualche anno si sussurra che le nostre tavole, presto, saranno imbandite da cibi sintetici.
Ovvero carne, pesce e formaggio confezionati in laboratorio con tecniche di coltivazione cellulare o fermentazione. Le associazioni di categoria tra cui Coldiretti (la maggiore organizzazione di assistenza e rappresentanza agricola italiana) e Filiera Italia (allenza tra agricoltura e industria alimentare) hanno lanciato una petizione mondiale per stoppare l’avanzata del cibo sintetico. La rivendicazione è sorta, come recita un documento diffuso alla stampa: “a favore del cibo naturale, salutare, sostenibile e contro la poltiglia proteica da cellule staminali e gli altri ‘cibi’ sintetici creati con fondi delle grandi multinazionali hi-tech”.
La petizione, in un incontro avvenuto durante la recente campagna elettorale, ha avuto l’adesione dell’attuale premier, Giorgia Meloni, che si è assunto l’impegno di difendere con tutti i mezzi le eccellenze italiane. Coldiretti, con una arguta e sarcastica definizione, ha definito il sintetico “cibo Frankenstein”. Si tratta di cibo creato mediante cellule staminali o bioreattori, quindi altra cosa dai prodotti “naturali. I motivi per cui le associazioni di categoria hanno manifestato un netto rifiuto per questo tipo di cibo sono diversi.
La parte da leone nella produzione sarebbe recitata dalle multinazionali alimentari che invaderanno i mercati con la loro forza finanziaria e comunicativa; l’eccessivo consumo di acqua ed energia che sarebbero superiori agli impatti degli attuali allevamenti; distruzione del microbiota intestinale, con gravi ripercussioni sulla salute delle persone; omologazione a livello globale, con soppressione della tradizione storica e cultuale.
Ora è chiaro che gli interessi in gioco sono consistenti ed ognuno tira l’acqua al proprio mulino. In Italia l’agroalimentare vale il 25% del Pil (Prodotto interno lordo), con 4 milioni di occupati. Però è un settore che produce l’80% di gas serra con conseguenze sociali e di salute pubblica devastanti. Se il “new green europeo”, tanto decantato a livello continentale, aspira ad aver successo bisogna proporre mutamenti radicali in agricoltura e nella zootecnia.
Basta allevamenti intensivi e monoculture, più diversivazioni di coltivazioni e diffusione di realtà imprenditoriali medio-piccole! La via da seguire è questa, tralasciando il dannoso modo di produzione agricola intensiva e il fantomatico cibo sintetico, sui cui le grandi multinazionali del biotech stavano già pregustando il lauto guadagno!