Il Premier continua a fare il suo lavoro ma a scartamento ridotto. E la situazione del Bel Paese sembra ad un passo dal baratro. I partito sono impegnati nella competizione nazionale dunque di responsabilità nemmeno a parlarne. Rimane l’amaro in bocca per Mario Draghi, l’economista su cui si puntava per la vera ripartenza. Che non c’é stata.
Roma – La situazione economica ed energetica vacilla ma non è in pericolo, almeno per il momento. Bisognerebbe soltanto avere un piano, una visione nazionale da allineare e rimodulare con tutti i partner europei. Ma per potere programmare e portare avanti tutti gli impegni assunti con il Pnrr occorre stabilità politica ed una vera maggioranza che progetti, si incontri, discuta e valuti tutte quelle strategie necessarie per il bene comune.
In campagna elettorale ogni coalizione esprime in libertà le proprie opinioni, a volte suggestive ed impraticabili, a volte importanti e solide. Ma per avere una visione ed un programma a medio e lungo termine è necessario impegnarsi anche a perdere un po’ della propria identità e la sovrastruttura politica. L’impegno tra i partiti dovrebbe essere quello di ascoltarsi senza pregiudizi e non soltanto puntare alla pancia della gente, per ottenere soltanto un effimero like o un aumento millesimale nei sondaggi.
Qualunque decisione si assuma è necessario che sia spiegata ai cittadini in modo semplice e chiaro, affinché ci sia collaborazione e “senso dello Stato”. Adesso è tutto più difficile e bisogna attendere la fine dell’anno per potere avere un nuovo governo. Comunque se Draghi avesse avuto maggiore temperamento e pazienza ed i partiti maggiore consapevolezza delle varie situazioni di emergenza che si dovevano affrontare sarebbe stato meglio. Forse.
Il premier ha rinunciato ad andare avanti, magari con una maggioranza diversa. In buona sostanza ha voluto inserirsi pienamente nel contesto politico in cui è stato chiamato e dove si è comportato da “commissario” o se vogliamo come un “amministratore delegato”. Un AD che non ha accettato quanto proposto dagli azionisti e, sentendosi sfiduciato, ha finito con il dimettersi rilanciando, nonostante tutto, la “sua agenda”, dunque creando ulteriori fibrillazioni e scompensi. Argomenti poi utilizzati da alcuni partiti per strategie elettorali.
Ma il “giochetto” parte da lontano e da coloro, soprattutto, che difendono ancora l’intransigente presidente del Consiglio pur avendo permesso elaborazioni parlamentari di scarso pregio, ma utili a provare ad allontanare qualche alleato ritenuto non più “asservito” al progetto del campo largo.
Certamente non è questo il periodo per elaborare tesi e tranelli, però è utile conservare la memoria per non farla cadere nell’oblio più assoluto. Inutile, dunque, appellarsi sempre o troppo spesso al senso di responsabilità, perché sembra una provocazione bella e buona e che non serve a nulla.
Ma la campagna elettorale, si sa, impone ritmi e strategie di comunicazione brevi e forti. Se Mario Draghi avesse avuto la tempra di uno statista di rango e la voglia di imporre la propria agenda, avrebbe dovuto confrontarsi nell’agone politico. La sua scelta non è certamente una colpa, ma neanche un merito.
Così il Premier si ostina a volersi rappresentare per quello che è, ovvero un bravo tecnico a disposizione delle istituzioni alle quali elargisce le sue competenze. La decisione di Draghi nel lambire la politica senza esporsi può avere un apprezzamento, ma presentare una sua lista alle elezioni per la continuità delle riforme, l’attuazione del Pnrr e per la fermezza italiana nello schieramento occidentale ed europeo, avrebbe consentito agli italiani di giudicare finalmente la sua proposta.
Quella scelta va comunque rispettata soprattutto dopo la delusione che tutti i partiti presenti in Parlamento gli hanno inflitto non scegliendolo per sostituire Mattarella e trasferirsi al Quirinale. Costringendolo Condannandolo cosi a fare il primo ministro nell’arena di una politica incapace e becera.