Le continue giravolte politiche contribuiscono alla sterilità del dialogo tra le forze in campo. Politiche sociali come il salario minimo e il taglio del cuneo fiscale restano tuttora una chimera. Le altre rifome sono ormai barzellette.
Roma – I problemi economici sono seri e tutti gli sforzi devono essere protesi per tutelare le famiglie dall’inflazione che colpisce duramente soprattutto i più deboli e chi non può difendersi dall’aumento dei prezzi. Per questi motivi, invece di perdere tempo in pseudo crisi politiche, si dovrebbero predisporre misure strutturali e durature, evitando interventi una tantum. Insomma l’obiettivo deve essere quello di evitare che gli effetti negativi provocati dalla svalutazione pesino sui più fragili. Lo spettro della recessione incombe sul nostro Paese, d’altronde è chiaro a tutti che si stanno attraversando diverse crisi che vanno dalla pandemia alla terribile invasione russa, così come dall’aumento dei costi energetici al deprezzamento ormai fuori controllo.
Considerato il clima di paura ed incertezza provocato dalle dimissioni di Draghi, poi rigettate dal Capo dello Stato, e in attesa di quanto accadrà mercoledi, lo stesso Premier sarebbe pronto a finanziare il taglio del cuneo fiscale e ad introdurre il salario minimo per salvaguardare i lavoratori non tutelati dalla contrattazione. Un impegno che il premier aveva assunto, a fronte della battaglia con Conte, facendo esplicito riferimento al “nuovo patto sociale” lanciato nei mesi scorsi e quanto mai necessario per gestire la difficile fase che stiamo attraversando.
Perché anche se in Italia l’economia al momento va meglio che in altri Paesi europei non c’è da farsi illusioni, in quanto le previsioni per i prossimi trimestri sono zeppe di rischi ed incognite. Draghi, dunque, si mostra disponibile alle richieste di Conte, ma nello stesso tempo ripete che gran parte dei punti contenuti nella lettera consegnatagli dal leader del M5s sono parte integrante del programma dell’Esecutivo. Ribadendo anche che il suo governo è nato per fare le cose, come se gli altri fossero sorti solo per sopravvivere. Mostrandosi, in tal modo, intollerante agli ultimatum.
L’ex governatore della Bce, al di là delle scelte del M5s e della possibilità di reiterare le proprie dimissioni, su una cosa appare abbastanza determinato:“…Non c’è un governo senza M5s e non c’è un governo Draghi oltre l’attuale…”. Messaggio questo diretto a Conte nei giorni scorsi ma non solo. Draghi infatti aveva parlato anche agli altri leader di partito che a settembre minacciano chissà quali iniziative nefaste.
Inevitabile pensare alla Lega e al suo segretario visto che nelle scorse settimane Salvini aveva apertamente rinviato a settembre e alla kermesse di Pontida il bilancio sulla permanenza del Carroccio nell’esecutivo. Il dito però è puntato sul salario minimo. L’Italia è tra i soli sei Paesi europei, insieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, a non avere una regolamentazione che fissa un minimo retributivo legale, ma il testo in discussione a Strasburgo non comporta nessun obbligo per i Paesi membri.
La direttiva fissa i criteri per minimi sopra la soglia della sopravvivenza, tenendo conto del costo della vita e del potere d’acquisto. Questo attraverso un salario minimo fissato per legge oppure con l’estensione della copertura della contrattazione collettiva, che dovrà arrivare all’80% anche, se necessario, tramite un piano di azione sotto il monitoraggio dell’Ue. Due strade alternative che, a cascata, dovrebbero ridurre le disuguaglianze e mettere un freno ai contratti precari e pirata.
A decidere la via da percorrere sono i governi nazionali. Compresi quelli, come l’Italia, che ha una copertura di contrattazione collettiva elevata ma non ha un salario minimo per legge. I sindacati pare che si stiano svegliando dopo un decennio di torpore. Anche nei Paesi in cui la contrattazione tra le parti è già estesa come l’Italia, del resto, ci sono intere fasce di lavoratori, come quei 3,3 milioni di persone che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora almeno secondo i dati Inps, al di sotto del minimo effettivo ritenuto adeguato ed equo.