Dietro i 101 cargo “a perdere” gli interessi della politica e della mafia internazionale

Una delle tante storiacce quella della morte del capitano Natale De Grazia. Un decesso legato agli enormi interessi che si celano dietro innumerevoli quantità di rifiuti speciali, tossici e nocivi provenienti da mezzo mondo e nascosti nelle stive di certe navi poi colate a picco. Un mezzo conveniente ma estremamente letale per smaltire scorie radioattive ed altri veleni letali che potrebbero liberarsi in mare in qualsiasi momento. E sarebbe una strage.

Reggio Calabria – I segreti del nostro Bel Paese sono tra i più oscuri del mondo. In altre culture politiche gli omicidi di “Stato” intrisi di connivenze e complicità ai vari livelli istituzionali e criminali spesso trovano soluzione restituendo giustizia e dignità a vittime e parenti.

In Italia i tempi biblici delle indagini, la burocrazia, le secretazioni dei documenti e le coperture di palazzo rendono quasi impossibile la conclusione di inchieste anche estremamente importanti specie quando hanno a che fare con la tutela della salute pubblica dai micidiali agenti inquinanti radioattivi.

Il comandante Natale De Grazia

Nel Mediterraneo, il Mare Nostrum dei Romani, si conterebbero ben 101 navi cargo denominate “a perdere” affondate e giacenti nei profondi fondali con il loro carico di morte. Scorie radioattive, elementi contaminati di centrali nucleari dismesse, pezzi di generatori atomici, parti di armi militari e mille altri componenti chimici letali, non smaltibili a basso costo, rappresentano veleni mortali che se venissero dispersi in mare causerebbero catastrofi ambientali di portata biblica eppure nessuno muove un dito per scoprire la verità.

E chi ci ha tentato c’è rimasto secco, come nel caso del capitano di fregata e medaglia d’oro al merito di Marina Natale De Grazia, nato a Catona, in provincia di Reggio di Calabria nel 1956, e morto misteriosamente la notte tra il 12 ed il 13 dicembre 1995 dopo aver cenato con alcune persone in un autogrill di Campagna, sulla Salerno-Reggio Calabria.

La nave Rigel

L’ufficiale, che si occupava da tempo e con successo di indagini legate alla navi cariche di sostanze tossiche e nocive, si trovava in viaggio per La Spezia dove avrebbe dovuto incontrare una persona che, probabilmente, gli avrebbe dovuto rivelare particolari inquietanti e basilari ai fini delle sue investigazioni più volte osteggiate e certamente non condotte con la dovuta serenità in un ambiente estremamente ostile e pericoloso.

Il suo corpo fu sottoposto ad autopsia dopo una settimana dal decesso presso l’ospedale di Reggio Calabria mentre quello competente sarebbe stato il nosocomio di Nocera Inferiore dove era giunto cadavere. Agli esami necroscopici non era stato autorizzato l’accesso al medico legale di parte che aveva chiesto una seconda analisi poi eseguita dallo stesso medico che confermò il primo referto: arresto cardio-circolatorio.

La Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea, Cosenza, nel 1994 (Foto Francesco Arena)

La seconda necroscopia, eseguita dalla medesima dottoressa Simona Del Vecchio, poi finita sotto inchiesta nel caso giudiziario relativo alle cosiddette “autopsie fantasma” che provocava un terremoto nella struttura sanitaria complessa di Medicina Legale dell’Asl 1 di Imperia, era stata consegnata ai familiari dieci anni dopo forse con l’intento di rendere inutile un’eventuale riesumazione del cadavere.

Dalle testimonianze delle persone che tentarono di soccorrere De Grazia e da altri accertamenti pare che la morte dell’ufficiale fosse riconducibile ad avvelenamento. Un’intossicazione “mirata” considerando che anche soggetti terzi avrebbero ingurgitato le stesse sostanze alimentari di cui era composta la cena servita al bravo e coraggioso comandante.

Giorgio Comerio

Il resto è stato tutto un susseguirsi di annose inchieste aperte ed archiviate, inutili interpellanze parlamentari, commissioni-lumaca, depistaggi e menzogne su un caso che, ancora oggi, non trova luce. Quasi tutto il lavoro investigativo del capitano De Grazia è contenuto nei fascicoli dell’inchiesta sull’affondamento della nave Rigel e di altri cargo fantasma depositata presso la Procura di Reggio Calabria e archiviata nel 2000.

Agli atti risulta che l’ufficiale calabrese (il cui acume investigativo aveva portato un importante contributo nel caso Ilaria Alpi) aveva scoperto in casa dell’ingegnere Giorgio Comerio, noto faccendiere nel ramo dei rifiuti speciali e più volte indagato, un’agenda con l’appunto “Lost the ship ovvero persa la nave” recante la data del 21 settembre 1987, giorno in cui era affondata la Rigel.

Miran Hrovatin e Ilaria Alpi

Nella casa di Comerio l’ufficiale avrebbe rinvenuto anche una copia del certificato di morte di Ilaria Alpi, assassinata in Somalia con il cameraman Miran Hrovatin, nel bel mezzo dell’inchiesta su rifiuti speciali e traffico d’armi.

Le indagini su altre navi come la Jolly Rosso, mezza affondata e poi spiaggiata ad Amantea e il sotterramento di rifiuti estremamente pericolosi sotto il letto del fiume Oliva avrebbero scoperchiato scenari da far tremare poltrone e intoccabili. Top-secret.

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