Novità per l’Imu ma di riforma non si parla

In un Paese in cui tutti parlano di semplificazione il Fisco diventa sempre più complesso e a farne le spese sono i contribuenti. Con il rinvio si ottiene il “rinvio” ma non si sana la nazione dai propri guai con l’Erario. La ripartenza è stato solo uno slogan. L’Italia è in ginocchio.

Roma – Ancora scivoli e dilazioni ma di riforma fiscale non si parla più. La scadenza della dichiarazione Imu slitta dal 30 giugno al 31 dicembre 2022 e potrà essere prodotta con modalità cartacea o telematica. Quest’ultima modalità è imposta qualora venga trasmessa tramite intermediari.

Il “Palazzaccio”, sede della Corte Suprema di Cassazione

Nel nuovo modello di dichiarazione trovano spazio le ultime modifiche introdotte con i recenti interventi normativi tra cui quelle in tema di esenzione dell’immobile adibito ad abitazione principale nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, per cui le agevolazioni per l’abitazione principale si applicano per un solo immobile.

Sono esenti dall’Imu gli immobili destinati a uso istituzionale e posseduti dallo Stato, dai Comuni, dalle Regioni, dalle Province, dalle Comunità montane e dagli enti del Servizio Sanitario Nazionale. A questi si aggiungono i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie da E/1 a E/9, i fabbricati con destinazione a usi culturali o agli esercizi di culto, i fabbricati della Santa Sede, quelli degli Stati esteri e delle organizzazioni internazionali.

Da ricordare che nel caso due coniugi abbiano residenze diverse, come stabilito dalla Corte di Cassazione, l’esenzione varrà in ogni caso soltanto per uno dei due immobili. Nel frattempo, la riforma del processo tributario rende più difficile difendersi da presunte irregolarità. Infatti, se il contribuente decide di difendersi personalmente contro una pretesa fiscale deve sapere che il valore della controversia non deve essere superiore a 3.000 euro a titolo di imposta, ovvero di sanzioni se queste rappresentano l’unica pretesa.

Neanche la bozza di disegno di legge di riforma del processo tributario approvata il 17 maggio 2022 dal CdM innalza la soglia suddetta. Per accelerare così la trattazione del ricorso, eccetto se la causa è di valore indeterminabile, è introdotta la figura del giudice monocratico.

In tal modo si dovrebbe velocizzare la soluzione delle controversie evitando accumuli di fascicoli di basso valore, demandando la trattazione alla commissione in forma collegiale solo per la risoluzione di pratiche più complesse. Sembra una lucida trovata, ma se il ricorso è respinto arriva una prima sorpresa.

Il giudice può difatti formulare una proposta conciliativa “avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”. Però se il contribuente non l’accetta senza giustificato motivo, nel caso di soccombenza, restano a suo carico le spese del giudizio maggiorate del 50%, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ricevuta.

Insomma, un modo per smaltire le cause pendenti, una sorta di cappio di cui tenere conto anche se, dal punto di vista etico, appare esagerato il costo processuale. Il contribuente, in sostanza, deve confidare nel fatto che la causa non sia trattata dal giudice monocratico, ma dalla commissione ovvero in forma collegiale.

In questa maniera se la sentenza emessa gli è contraria, in tutto o in parte, è possibile presentare il ricorso in appello esclusivamente per la “violazione delle norme sul procedimento, nonché per violazione di norme costituzionali o di diritto dell’Unione europea, o comunque dei principi regolatori della materia”.

Praticamente è come dire che il grado di appello si trasforma ed ispira ai principi che possono legittimare un ricorso in cassazione. Va tenuto presente che quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta o è dichiarata inammissibile o improcedibile il contribuente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato tributario di importo pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa