Le aziende hanno stretto i cordoni della borsa per gli investimenti sulle nuove produzioni. Leggendo una delle analisi dell’Istat sull’argomento si rischia di rimanere basiti considerate le conclusioni a cui giungono gli esperti.
Roma – Il riferimento riguarda il report “L’innovazione nelle imprese – 2018/2020“. Ebbene nel triennio 2018-2020 il 50,9% delle imprese ha svolto attività innovative,una percentuale in calo di quasi 5 punti rispetto al biennio precedente. E che cosa si pretendeva che facessero con quel po’ di tsunami della pandemia che ha scatenato una crisi sanitaria, sociale ed economica? Qualcuno forse si aspettava che in tempo di vacche magre gli imprenditori si sarebbero sbizzarriti a spendere e spandere?
Qualunque brava massaia sa che, in situazioni di crisi così gravi, ogni tipo di investimento ne soffre, figurarsi quelli per le innovazioni. Buona grazia se si riesce a pagare gli stipendi ai dipendenti!
Ironia a parte anche l’Istat ha rilevato che tra le cause di questa contrazione primeggia l’emergenza sanitaria, che ha manifestato i suoi effetti negativi per l’innovazione, manco a dirlo, tra le aziende più piccole. Tra le imprese che hanno avuto la possibilità di innovare il comparto industriale è quello che manifesta la maggiore propensione, ma anch’esso é in forte calo. L’unico settore in cui il rinnovamento tende al rialzo è quello delle costruzioni.
Emerge una peculiarità: le imprese italiane sono più portate ad innovare i processi aziendali piuttosto che puntare su nuovi prodotti. Anche se entrambi questi aspetti sono in calo rispetto al periodo 2016-2018, durante il quale si è rafforzata quella fascia che il report definisce più radicale, ovvero il gruppo di imprese che sviluppano e vendono prodotti innovativi per il mercato, particolarmente originali rispetto a quelli della concorrenza. Gli attori principali in questo campo sono le grandi imprese, a prescindere dalla loro area di competenza, ma con una maggioranza di attività legate all’industria.
Sempre nel periodo 2016-2018 segue la piccola impresa che, seppure numericamente inferiore rispetto a quella grande, ha visto raddoppiata la percentuale di innovazioni. Da notare come sia molto bassa la quota di imprese che hanno avuto sostegno pubblico in tale direzione. Tra le aziende che hanno beneficiato di finanziamenti statali, il settore più interessato è quello delle grandi imprese, particolarmente il comparto industriale. I settori che ricevono finanziamenti pubblici sono quelli storicamente più innovativi, tra cui ricerca e sviluppo, l’industria farmaceutica e l’informatica.
Vuoi vedere che, quatto quatto, anche l’Istat lancia il sassolino nello stagno e nasconde la mano, come dice un antico motto popolare? Senza specificarlo esplicitamente, sembra voglia invitare lo Stato a rafforzare gli investimenti pubblici alle imprese più piccole. Come se lo Stato fosse il pozzo di San Patrizio, una fonte di ricchezze senza fine! Certamente l’intervento pubblico è necessario per favorire lo sviluppo produttivo territoriale, ma resta necessario stabilire vincoli e parametri certi, per evitare spiacevoli sorprese. Bisogna assicurarsi che queste risorse vengano effettivamente investite nell’innovazione e non sottratte per scopi meno leciti. A buon intenditore poche parole!