Questa forma nascosta di abuso di genere colpisce il 21% delle donne italiane durante il parto e lede fortemente i loro diritti. Come si può arginare il fenomeno?
La violenza ostetrica: invisibile e trascurata L’elenco di donne che hanno vissuto esperienze profonde e recondite, nonché angoscianti sulla loro pelle è lungo quanto un’autostrada. Al contrario, un momento particolare della vita di una donna, come il parto o una visita ginecologica, avrebbe meritato maggiore sostegno e cure. La violenza ostetrica, tema, finora, poco considerato è, invece, molto esteso a livello mondiale.
I primi dibattiti si svilupparono nell’America del Sud, ma solo nel 2007 fu emanata una legislazione ad hoc, in Venezuela, la “Legge Organica sul diritto delle donne a una vita libera dalla violenza”, in cui si considerava la violenza ostetrica, come “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”. Da allora, il dibattito sulla violenza ostetrica si è fatto molto intenso, al punto che è stata inserita nell’elenco delle violenze di genere. Qualunque tipo di abuso, noncuranza o mancanza di rispetto quando viene alla luce un neonato o durante i controlli ginecologici, rappresenta una inosservanza dei fondamentali diritti umani della donna.
La prima ricerca in Italia dal titolo “Le donne e il parto” è stata curata dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, un organismo multidisciplinare sorto nel 2016 con il proposito di monitorare l’incidenza delle pratiche che costituiscono questo tipo di violenza ai danni delle donne nel loro percorso di maternità. Ebbene, ben il 21% di donne con figli tra 0-14 anni ha dichiarato di essere stato vittima di una forma di violenza durante il primo parto. L’assistenza, per il 41% ha rappresentato una violazione della dignità e integrità psicofisica. La situazione più dolorosa è stata l’episiotomia, un piccolo intervento chirurgico praticato durante il parto, per ampliare l’orifizio vaginale e facilitare il passaggio del feto, a cui è stato sottoposto il 54% delle donne. Sono state riscontrate una serie di deficienze, tra cui: la mancanza di un’assistenza completa dopo il parto, l’assenza di privacy, l’impossibilità di avere accanto durante il travaglio una persona di fiducia e la carenza di somministrazione di un’idonea analgesia. Gli effetti della violenza ostetrica possono durare nel tempo e manifestarsi in forme depressive e ansia post-parto, disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), influsso distorto sulla relazione madre-bambino, nonché deterrente all’assistenza sanitaria, innescando un meccanismo di timore ed emarginazione.
Nel 2019 (alla buonora!) il Consiglio di Europa ha approvato la Risoluzione n. 2306, in cui si enuncia che “la violenza ostetrica e ginecologica è una forma di violenza rimasta nascosta per molto tempo ed è tutt’ora spesso ignorata”. Si tratta di una vera e propria violenza istituzionale sul corpo femminile. Non una pratica individuale, ma un “modus operandi” figlio delle strutture socio-culturali. Quanto meno nel campo del diritto è stata considerata una violazione dei diritti umani, anche se manca un’adeguata formazione per gli operatori sanitari nella comunicazione con le pazienti. Inoltre, è sempre prevalso l’aspetto clinico del parto su un evento che è, di per sé, naturale. E’ molto triste constatare che il corpo della donna, storicamente, è stato oggetto, sempre, in qualunque modo e contesto sociale, di violenze, soprusi, violazioni e oltraggio. Come testimoniano i tanti femminicidi e gli ostacoli ostativi eretti nel mondo del lavoro e nella società. A conferma che la dura legge del patriarcato è ancora imperante, seppur sotto mentite spoglie!