Agglomerati suburbani dove lavorano a bassissimo costo le donne indiane nate da famiglie numerose e indigenti
E’ quasi da non crederci ma sono chiamati così i villaggi delle piantagioni dove lavorano le donne indiane che, nate da famiglie delle zone più povere del paese come Beed, Osmanabad, Sangli e Solapur, migrano verso i più ricchi distretti occidentali, quelli che vengono chiamati “la cintura di zucchero”, per lavorare per sei mesi l’anno nei campi di canna da zucchero. Lavorare come raccoglitore di canna da zucchero è estremamente faticoso perché durante la mietitura, che avviene tra ottobre e marzo, la sveglia suona alle 4 del mattino, il lavoro dura più di 12 ore al giorno sotto il sole cocente, con le ore di riposo in tendopoli vicino ai campi senza servizi igienici. Il tutto per un guadagno tra le 30.000 e 35.000 rupie, equivalenti a 380 e 450 euro, per l’intera stagione di raccolto. Per ogni giorno di assenza è prevista una multa di 500 rupie e per questo qualsiasi malattia non è contemplabile.
Già è difficile per queste donne essere assunte perché il taglio delle canne è pesante e ci vuole molta forza fisica, ma soprattutto perché, durante il ciclo mestruale, le donne possono avvertire qualche malessere e rallentare il ritmo serrato di lavoro; per non perdere nemmeno una giornata di lavoro, quindi, bisogna risolvere il problema alla radice: via l’utero o non si lavora. La maggior parte di queste donne a 20 anni ha già due o tre figli, quindi i medici le convincono facilmente a sottoporsi agli interventi. La questione è stata sollevata durante un’assemblea statale proprio da una donna, la leader politica Neelam Gorhe e il ministro della sanità del Maharashtra, Eknath Shinde ha ammesso che, in tre anni, si sono verificate 4605 isterectomie solo nel distretto di Beed. Chiaramente, Shinde ha sottolineato che non tutti gli interventi erano stati fatti su mietitrici di canna da zucchero, ma comunque è stata istituita una commissione incaricata di indagare sui diversi casi. La maggior parte delle donne, tra i 20 e i 40 anni, hanno affermato che la loro salute è peggiorata da quando hanno subito l’intervento chirurgico. Una donna ha parlato di “dolore persistente alla schiena, al collo e al ginocchio” e un’altra di come si sveglia al mattino con “mani, viso e piedi gonfi”. Di conseguenza, molte hanno affermato di non essere più in grado di lavorare nei campi.
La BBC è stata la prima a denunciare il fenomeno in un articolo del luglio scorso, poi ripreso dalla stampa europea. Come riportato anche da Le Figaro, il numero delle isterectomie nello stato del Maharashtra ha raggiunto numeri tragici e preoccupanti: due indagini condotte dal governo regionale nel 2018 hanno stabilito che il 36% delle raccoglitrici di canna da zucchero ha subito l’intervento di rimozione dell’utero, mentre la media nazionale è solo del 3,2%.
In India, come in altre zone del continente asiatico, le mestruazioni sono ancora un tabù, tanto che, nei giorni del ciclo, le donne vengono considerate impure e quindi allontanate dalla vita sociale. Ma in questo caso non si tratta solo di una questione di isolamento ma di qualcosa di ben più grave. L’India mostra ancora una volta le sue contraddizioni più atroci sul corpo e sul destino delle donne: alla stessa latitudine si trovano donne ridotte a uteri in affitto per produrre bambini altrui e donne poverissime cui strappare il grembo perché le mestruazioni rallentano il lavoro.
“Quello che guadagniamo durante la stagione è la nostra entrata di tutto l’anno, – spiega una donna locale – perché non prendiamo nessun altro lavoro quando torniamo dalla raccolta. Non possiamo permetterci un’interruzione neanche per un giorno. Dobbiamo lavorare anche se abbiamo problemi di salute. Non c’è riposo e per le donne il ciclo è un problema in più”.