Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono morti in servizio per la verità. La stessa che viene loro negata da ingiustizie e depistaggi che si ripetono puntualmente. Per il loro sacrificio chi pagherà?
Nel mese dedicato alla giornata della donna ricordiamone una davvero grande: Ilaria Alpi. Ilaria, forte, determinata, coraggiosa, sognatrice. Ilaria, innamorata dei paesi orientali e dei viaggi. Ilaria, amante appassionata del continente africano. Ne amava i colori, i sapori, gli odori. Come darle torto? Ilaria, innamorata anche dell’Oriente. Era stata inviata in Libano, in Kuwait e in Somalia, dove in poco più di un anno vi tornò per ben sette volte.Ilaria, donna libera ed emancipata.Ilaria, giornalista con la G maiuscola.
Il 20 marzo 1994 Ilaria Alpi, 33 anni e il cineoperatore triestino Miran Hrovatin, di 44, furono uccisi a Mogadiscio e ancora oggi non sappiamo perché. I due giornalisti della Rai stavano indagando su un presunto traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici. L’affare miliardario, se svelato sulla stampa, avrebbe fatto scoppiare uno scandalo di vaste proporzioni perché avrebbe coinvolto una società italo-somala “coperta” da una missione umanitaria. Prima di essere uccisi, infatti, Ilaria e Miran avevano intervistato il sultano del Bosaso, Abdullahi Mussa,
che avrebbe rivelato notizie scottanti sulla presenza di un “normale” peschereccio in quei mari percorsi da ogni genere di affari illeciti. Ilaria aveva fretta di diffondere lo scoop in una delle edizioni del TG3 ma la cronista non arrivo mai a diramare l’importante servizio. L’intervista sarebbe durata circa due ore ma, dopo la morte violenta di Ilaria, in Italia arrivò una cassetta con una registrazione di soli tredici minuti. Si pensò a una manipolazione, ad un depistaggio. Il primo di una lunga serie.
La versione ufficiale dei due omicidi fu quella di una vendetta per mano somala contro gli italiani ma sin dall’inizio nessuno aveva creduto a questa versione dei fatti a dir poco fantasiosa e non corroborata da prove inoppugnabili Le indagini sono proseguite per anni in cui si sono succedute assoluzioni, archiviazioni, riaperture dell’inchiesta sino all’arresto di Hashi Omar Hassan che, assolto in primo grado, fu condannato in appello, dopo un parziale annullamento della Cassazione. Dopo la condanna di Hassan prese corpo un altro processo a carico del suo principale accusatore, Alì Ahnmed detto “Jelle” il quale, dopo la fuga all’estero confessava l’innocenza di Hassan che, di fatto, era stato soltanto l’uomo a cui addossare tutte le colpe. Jelle disse anche che lo aveva accusato perché aveva subito delle pressioni da qualcuno in Italia in cambio di benefici per sé e per la sua famiglia. Tali risvolti investigativi portarono ad un nuovo processo all’esito del quale Hassan, dopo avere scontato 17 dei 26 anni di carcere ai quali era stato condannato, fu assolto.
Successivamente emergevano nuove intercettazioni tra un gruppo di somali in Italia. Nei loro colloqui telefonici asserivano che Ilaria era stata uccisa dagli italiani o, meglio, da certi servizi segreti deviati. Tuttavia il procedimento terminava con una richiesta di archiviazione poi rigettata dal Gip di Roma il quale, ordinando nuove indagini, non giungeva a risultati concreti. Piuttosto ad una nuova richiesta di archiviazione da parte della Procura poi di nuovo rigettata dal Gip il 4 ottobre scorso. Il 4 aprile prossimo la tragica vicenda di Ilaria e di Hrovatin potrebbe tornare in archivio per sempre.
Nel frattempo i genitori di Ilaria sono morti. Con tutta la forza che solo genitori feriti a morte possono avere, quelli della povera Ilaria hanno combattuto una battaglia di legalità troppo lunga, irta e faticosa.Troppi depistaggi, rallentamenti, occultamenti. Troppe inspiegabili stranezze o, forse, spiegabili ma chi può dirlo?
A partire dal certificato di morte di Ilaria, occultato. E che dire delle foto scattate dalla giornalista e mai consegnate ai genitori? E che fine hanno fatto gli effetti personali della vittima e il suo famoso taccuino? E poi la valigia con i sigilli strappati consegnata alla famiglia. Il mistero delle chiavi delle stanze d’albergo di Ilaria e Miran, una non corrispondente a quella in cui furono trovati gli effetti di Ilaria e l’altra, quella del videoreporter, mai ritrovata. E dell’autopsia mai effettuata sul corpo di Ilaria, vogliamo parlarne? Una brutta pagina di ingiustizia italiana quella della morte di Ilaria Alpi, una brutta pagina malagiustizia che offende la memoria di una donna, di una figlia, di una giornalista, di una italiana che ricordiamo, ancora oggi dopo tanti anni, con il viso semplice e i capelli, a volte legati, a volte scompigliati, con il microfono sempre in mano, inseparabile compagno di viaggio e di vita.
Una guerriera della notizia. Una guerriera della verità. Una guerriera della vita, morta in circostanze che, forse, non si chiariranno mai. Inutile illudersi. A 26 anni da quel maledetto giorno le rivolgiamo un pensiero, ricordando la sua vita, da prendere come esempio. Ilaria rimane il simbolo di un giornalismo coraggioso, al servizio della verità collettiva. Un giornalismo “investigativo” fatto sul campo dove l’incidente, ma forse anche la morte, devi metterli in conto.
Ilaria lo sapeva bene, eccome. Ma era il suo lavoro. L’inviata del Tg3 non è scomparsa invano. Ha comunque ha acceso i riflettori sugli intrecci fra istituzioni e mafia internazionale che di fronte al profitto sono disposti a tutto. Anche a uccidere. Un pensiero e un saluto a te, Ilaria. Ilaria, dal latino “Hilaris”, lieta, allegra, come sei nelle tante fotografie che ti ritraggono. Rimarrai sempre nei nostri cuori.