Il nuovo Codice degli appalti pubblici è legge. Non saranno più necessari i decreti attuativi. Due i princìpi che guidano il testo: quello del risultato da ottenere tempestivamente e il miglior rapporto qualità/prezzo possibile. La confusione rimane.
Roma – L’approvazione definitiva nel Consiglio dei Ministri ha sbloccato una situazione in sospensione da tempo. L’approvazione è una delle riforme necessarie per ottenere i 19 miliardi del PNRR, che ancora tardano ad arrivare. Opportuno sottolineare che non serviranno i decreti attuativi. Infatti, gli allegati del Codice degli appalti pubblici, in tutto 36, che hanno sostituito le 104 norme secondarie, rendono il provvedimento immediatamente applicabile.
L’insieme delle nuove norme è basato su due princìpi fondamentali, quello del “risultato”, da conseguire con la “massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza” e quello della “fiducia” nella legittimità delle scelte fatte. In particolare, le nuove norme più importanti sono: 1) Le deroghe per i cantieri. 2) Il dissenso qualificato. 3) La Banca Dati Nazionale dei contratti pubblici dall’1 gennaio 2024. 4) L’appalto integrato libero e la liberalizzazione degli appalti sotto-soglia. 5) Le novità sulle centrali di committenza e le stazioni appaltanti. “Per fare una gara si risparmieranno da 6 mesi a 1 anno” afferma il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, il quale sottolinea anche che la norma valorizza le imprese che hanno sede nel territorio interessato dall’opera.
Si introduce il cosiddetto “dissenso qualificato”, cioè le amministrazioni avranno una cornice più limitata per bloccare un’opera. I piccoli Comuni potranno poi procedere ad affidamenti diretti fino a 500mila euro. È prevista anche la cosiddetta liberalizzazione sotto-soglia fino a 5,3 milioni. Inoltre, sarà a disposizione una piattaforma digitale nazionale per evitare duplicazioni burocratiche nelle documentazioni richieste. Per fare una gara si risparmierà tempo, grazie innanzitutto alla digitalizzazione delle procedure. Si tratta, in sostanza, di una banca dati degli appalti che conterrà le informazioni relative alle imprese, una sorta di carta d’identità digitale, consultabile sempre, senza che sia necessario, per chi partecipa alle gare, presentare di volta in volta plichi di documentazione. Il nuovo Codice comporterà anche minori vincoli sui subappalti, che possono effettuarsi a cascata, così come l’obbligo di adeguamento dei prezzi, in caso di rincari dei materiali.
Arriva inoltre l’appalto integrato, che prima era vietato e che permetterà ora di attribuire con una stessa gara il progetto e l’esecuzione dei lavori. Inoltre, con il tetto di 5,3 milioni le stazioni appaltanti potranno attivare procedure negoziate o affidamenti diretti, sempre rispettando il principio della rotazione delle imprese. Si interviene anche sulla cosiddetta “paura della firma”, ritoccando le sanzioni. Così niente colpa grave per i funzionari e i dirigenti degli enti pubblici se avranno agito sulla base della giurisprudenza o dei pareri dell’autorità. In particolare, per alcuni tipi di reato, l’illecito professionale può essere fatto valere solo a seguito di condanna definitiva, condanna di primo grado o in presenza di misure cautelari. Con le nuove norme il 98% dei lavori pubblici sarà senza gara.
Si parla di un mercato di 18,9 miliardi all’anno. Il calcolo deriva dal fatto che delle 62.812 procedure, per l’assegnazione di lavori pubblici del 2021, il 98,27% era sotto i 5 milioni di euro. La stessa soglia scelta per il nuovo Codice degli appalti pubblici. In pratica per i piccoli cantieri, il nuovo codice disegna sostanzialmente tre binari e cioè quello dell’affidamento diretto obbligatorio per gli appalti sotto i 150mila euro e la procedura negoziata senza bando, ma con 5 inviti, per gli appalti fino a 1 milione di euro, nonché la procedura negoziata senza bando, ma con 10 inviti, per gli appalti tra 1 e 5,38 milioni di euro. In questo modo le scorciatoie varate durante la pandemia si trasformano in regole per il mercato ordinario. Secondo l’Anticorruzione, però, si tratta di una scelta eccessiva. Le imprese di costruzione hanno, infatti, segnalato il pericolo di far precipitare in un limbo contratti con uno scarso tasso di trasparenza.