Prima del virus la regione è stata da sempre vittima di gas tossici, rifiuti radioattivi, diossine, benzene e altri veleni dispersi in cielo e in terra. Del Rutenio su Bergamo e dintorni se n’era parlato per qualche settimana, poi il silenzio assoluto. Le autorità minimizzano ma è solo uno dei tanti elementi tossici che hanno minato negli anni la nostra salute aprendo le porte a nemici sempre più letali.
BERGAMO – Esattamente tre anni fa, nel marzo del 2017, nei cieli della Lombardia e di parte del Nord Italia, e su Bergamo in particolare, facevano la loro comparsa consistenti concentrazioni di Rutenio-106. A destare allarme e timore era stata proprio la specificità fisica dell’elemento che, privo di ruolo biologico, è capace di macchiare la pelle umana, può essere cancerogeno ed è soggetto a bioaccumulo nelle ossa e nelle articolazioni. Il componente chimico (il cui nome deriva da Ruthenia ovvero Russia, come la chiamavano i Romani) è utilizzato come forte catalizzatore per apparecchiature chirurgiche in grado di curare alcuni tumori ottici e come propellente per i satelliti spaziali.
La scia di Rutenio sarebbe arrivata in Italia dai paesi dell’Est ed è rimasta tra la Lombardia ed il Piemonte arrivando anche a lambire le regioni confinanti. Ovviamente non si sa da quale insediamento industriale provenga fatto sta che le radiazioni, rilevate con minore o maggiore intensità in diverse località, sono state presenti nell’aria scatenando non poca preoccupazione attesa la scarsa pubblicità sul fenomeno. Tracce marcate di Rutenio-106 sono state rilevate anche in Francia, Germania, Austria e Svizzera e anche l’Arpa (agenzia regionale Protezione ambientale) del Friuli Venezia Giulia aveva accertato la presenza dell’elemento nel territorio di propria competenza:”… In assenza di altri radionuclidi artificiali tipici di una fissione nucleare – scriveva l’ente pubblico nel suo rapporto – porta a escludere incidenti occorsi a un impianto di produzione di energia nucleare o al seguito di esplosioni di ordigni bellici…”. Ma allora perché il Rutenio se ne stava tranquillo per aria? Una cosa normale? Quali concentrazioni sono state rilevate? Anche piccole quantità di Rutenio sarebbero comunque pericolose atteso che il componente chimico non dovrebbe trovarsi disciolto in aria dunque non esistono tabelle di riferimento o soglie minime per la salute dell’uomo. Gli esperti dei centri regionali, in collaborazione con l’istituto Superiore per la Protezione e per la Ricerca ambientale (Ispra), al tempo, avevano intensificato i campionamenti e le analisi del particolato atmosferico onde stabilire l’esatta quantità di radioattività scaturita dall’elemento chimico.
Per il Federal office for Radiation Protection di Berlino, le radiazioni avrebbero origine nell’Europa dell’Est ma, all’epoca dei fatti, non era stata ancora localizzata la fonte della presunta perdita. L’ufficio federale svizzero di Sanità pubblica aveva comunicato che erano state rilevate tracce di Rutenio-106 anche tra Locarno e Bellinzona. In Austria la concentrazione di Rutenio sarebbe stata più alta, addirittura simile alle concentrazioni rilevate su Bergamo e provincia dove il Codacons aveva presentato un esposto in procura. Il senatore veneziano Gianni Girotto, del M5S, aveva presentato un’interrogazione parlamentare urgente a risposta orale all’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin:”…Le istituzioni devono prestare maggiore attenzione – scriveva il senatore – e intervenire con tutti gli strumenti a disposizione per effettuare controlli e monitoraggi del fenomeno per evitare che la salute umana venga messa in pericolo… Nei prossimi giorni seguiremo da vicino l’ evolversi della situazione. Non possiamo rimanere indifferenti a quanto accaduto…”.
Anche in Norvegia, Svezia e Polonia era stata riscontrata la presenta del radionuclide nell’atmosfera. Rimangono sconosciuti i risultati della analisi in repubblica Ceca e in Slovacchia. Il Rutenio era ed è utilizzato nell’industria chimica, bellica e in elettronica in sempre maggiori quantità. Nelle raffinerie, ad esempio, il metallo ormai raro dunque sempre più costoso, viene usato come catalizzatore per produrre ammoniaca da gas naturale e per la produzione di acido acetico da metanolo. I sospetti, ora come allora, gravano sulla Russia, per meglio dire sugli insediamenti estrattivi del minerale e sulle raffinerie di petrolio degli Urali ma chi può dirlo con certezza? Dopo due anni, nel giugno del 2019, una ricerca coordinata dall’istituto per la Dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche, ora istituto di Scienze polari, le cui misure sono state effettuate presso i laboratori di radioattività dell’università di Milano-Bicocca, aveva individuato la presenza di Rutenio-106 nei filtri che hanno campionato l’aria del capoluogo lombardo a partire da inizio settembre 2017.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Atmospheric Environment:”…Anche l’agenzia internazionale per l’Energia atomica ha raccolto dagli stati membri un dataset delle misure del particolare radioisotopo di origine artificiale – aveva dichiarato Niccolò Maffezzoli, ricercatore del Cnr – confermandone la presenza dall’Ucraina all’Italia fino alla Svezia e alla Francia. Il dataset è stato quindi rilasciato dall’Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, prima struttura a indagarne la possibile origine. I risultati della ricerca sono stati poi confermati dall’Istituto meteorologico danese. Noi abbiamo utilizzato sia un modello di ricostruzione atmosferica sia informazioni meteo open source, applicando quindi un modello statistico al fine di ricostruire la posizione della sorgente. Il risultato conferma per la terza volta le conclusioni cui sono arrivate le altre due indagini: una zona compresa tra l’Ucraina e le regioni russe del Volga e degli Urali. La dose delle radiazioni è comunque stata molto al di sotto dei limiti di legge e non dannosa per la popolazione e l’indagine non ha riguardato eventuali rischi per la salute ma ha confermato con una diversa metodologia i risultati delle precedenti ricerche circa la possibile origine del fallout, ad oggi non ancora ufficialmente confermata…”. Insomma ci si è preoccupati di individuare il luogo del presunto incidente e non se il Rutenio avesse cagionato o meno danni alla salute. Un discorso che ci ricorda da vicino quanto accaduto per il Coronavirus.