Gli enti intermedi erano stati aboliti nel 2014 e la riforma istituiva le città metropolitane. Adesso ritornano con tanto di elezioni di presidente e consiglieri. Ma non è uno spreco bello e buono? Abbiamo ben altre emergenze e sciupare denaro per istituire altri posti di sottogoverno ci sembra scandaloso.
Roma – Abbiamo scherzato: ritornano le Province! L’abolizione di queste istituzioni, con la riforma Delrio del 2014 durante il governo Renzi, fu salutata dai maggiori maitre à penser della carta stampata con entusiasmo e panegirici perché, finalmente, ci si liberava di un ente inutile, con competenze ambigue e che intralciava la già lenta burocrazia dei Comuni e delle Regioni. La riforma istituiva dunque le città metropolitane di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Inoltre le Province furono trasformate in enti di secondo grado.
Ora, all’improvviso, in un rigurgito di federalismo spinto, si ritorna al passato. Il ministro degli Affari regionali e delle Autonomie, il leghista Roberto Calderoli ha l’intenzione di eliminare quella legge, vecchia ormai di otto anni e di reintrodurre l’elezione diretta di presidenti e consigli provinciali. Sembra che il prossimo passo sia di procedere ad un aggiornamento delle funzioni delle Province e dei conseguenti finanziamenti. Calderoli è del parere che esiste un nesso costruttivo delle Province con l’autonomia differenziata, sempre nel quadro dell’unitarietà giuridica ed economica del Paese.
L’autonomia differenziata è la possibilità prevista dal titolo V della Costituzione che le singole regioni a statuto ordinario possano accedere a forme di autonomia nella gestione di diverse competenze. Com’è noto, sull’argomento Lombardia e Veneto, indissero nel 2017 un referendum popolare senza alcun valore giuridico, che, però, ebbe una trionfale adesione e un rilevante valore politico. Spifferi di Palazzo ci hanno sussurrato che Calderoli non sta nella pelle, tant’è che la bozza sulla legge quadro per l’autonomia differenziata sarebbe quasi pronta, da approvare nel 2023. E’ da ricordare, per dovere di cronaca, che la riforma Delrio era stata inserita in quel processo di revisione costituzionale a cui tanto ambiva il governo Renzi, che si rivelò un vero e proprio flop col referendum del 2016. Come spesso succede in Italia, le cose vengono fatte a metà.
Le Province, infatti, pur non avendo più i propri organi politici eletti dai cittadini, dopo alcuni anni il presidente e il consiglio provinciale sono stati nominati da sindaci e consigli comunali, in quella che viene definita elezione di secondo grado. Nonostante risorse insufficienti, hanno, comunque, continuato a gestire servizi pubblici importanti come la scuola e la viabilità. Si parla di oltre 5100 edifici scolastici, in cui studiano più di 2,5 milioni di ragazzi. Mentre le strade ammontano a 130 mila chilometri, corrispondenti a circa l’80% della rete viaria nazionale con 30 mila ponti, gallerie e viadotti. Numeri importanti, che forse, meriterebbero ben altra attenzione e responsabilità.
Il ministro Calderoli ritiene urgente la questione e intende rivedere con il Ministero dell’Interno il testo unico sugli Enti locali. Non è chiara l’origine della frenesia di raggiungere questo obiettivo da parte del Ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie. Se si facesse un rapido sondaggio, non penso che i cittadini italiani abbiamo tutta ‘sta voglia di ripristinare le Province. Sono altri gli argomenti su cui riversare tutto l’ardore e l’accanimento possibili. Ovvero: lavoro, povertà, bollette in aumento, crisi climatica e ambientale. Altro che Province!