Il sovraffollamento delle carceri italiane e il drammatico aumento dei suicidi tra detenuti e personale penitenziario sollevano interrogativi sulla politica della reclusione e la necessità indifferibile di riforme strutturali.
Roma – Dal sito del ministero della Giustizia i detenuti presenti nelle strutture carcerarie italiane, al 30 giugno di quest’anno, sono 57.525, di cui 2512 donne e 17.987 sono stranieri mentre la capienza regolamentare sarebbe per 51.187 persone. Ufficialmente il tasso di affollamento è di poco più del 110 per cento (ovvero le strutture carcerarie ospitano circa il 10 per cento delle persone oltre la loro capienza massima), ma in realtà se si calcolano anche i posti non disponibili l’affollamento medio sale al 119 per cento, con casi particolarmente gravi come quelli della Lombardia e della Puglia, che sono entrambe attorno al 150%. Il problema più evidente dunque è quello del sovraffollamento, cui si aggiungerebbe anche la carenza del personale di polizia penitenziaria e degli altri ruoli dell’amministrazione. Oltre al personale medico e para medico. In questo drammatico stato di cose si inserisce un altro tragico fenomeno: quello dei suicidi che riguardano sia i detenuti che le persone che lavorano in carcere.
Nel 2022 i suicidi in carcere sono stati 85: più di una persona ogni quattro giorni dunque l’anno con il maggior numero di gesti estremi. A luglio del 2023 i suicidi sono stati 46, in linea con l’anno precedente. L’ultimo suicidio risale al 18 settembre scorso nel carcere sassarese di Bancali dove un giovane detenuto di 26 anni è stato trovato impiccato nella sua cella. Il Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale Irene Testa ha commentato la notizia in maniera chiara: “È un fallimento della politica giudiziaria e penitenziaria”,
“Il suicidio del ragazzo di 26 anni detenuto nel carcere di Bancali è una sconfitta per tutti – spiega – Per lo Stato che abbandona tutti coloro che vivono e lavorano all’interno del carcere. La polizia penitenziaria, i direttori, gli educatori, per il Ministro della Giustizia che non sente il grido di allarme che arriva da quei luoghi. Non si possono continuare a nascondere malati e tossicodipendenti dentro le celle e ignorare questa realtà”.
Anche il Sappe (Sindacato autonomo polizia Penitenziaria) ha preso posizione.
“Invito le autorità istituzionali e regionali ad attivare, da subito, un tavolo permanente regionale sulle criticità delle carceri, che vedono ogni giorno la polizia penitenziaria farsi carico di problematiche che vanno ber oltre i propri compiti istituzionali, spesso abbandonata a sé stessa dal suo stesso ruolo apicale”, spiega il delegato per la Sardegna Antonio Cannas.
Il segretario nazionale della sigla autonoma, Donato Capece, evidenzia altri particolari inquietanti:
“l’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere, a nemmeno 24 ore di un altro detenuto che si è tolto la vita nel carcere di Terni, dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze. E si consideri che negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della polizia penitenziaria hanno sventato nelle carceri del Paese più di 25mila tentati suicidi ed impedito che quasi 190mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”.
“Dolore e sgomento” per Maria Grazia Caligaris, referente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, che esprime vicinanza alla famiglia del 26enne. “Un atto estremo di autolesionismo che nessuno però può ignorare – precisa – Occorre una seria riflessione su quanto sta avvenendo dentro le carceri italiane e mettere mano a una seria azione riformatrice in grado di dare risposte ai bisogni reali della società. Il carcere è diventato il luogo principe del disagio economico, culturale, sociale, affettivo. Tutto questo pesa particolarmente su una persona giovane”.
Ad agosto di quest’anno, durante la sua visita al carcere delle Vallette a Torino, dopo la morte di due detenute nel giro di poche ore, il ministro della giustizia Carlo Nordio ha individuato il principale problema delle carceri italiane nel sovraffollamento e ha sostenuto che la soluzione starebbe in quella che ha definito «detenzione differenziata», cioè nello sviluppo di pene detentive alternative al carcere.
Nordio ha detto che secondo lui le “pene alternative” tradizionali, come la detenzione domiciliare o la semilibertà, «non sono sufficienti a colmare il gap che c’è tra la necessità di garantire la sicurezza dello stato, che per noi è una priorità, e garantire anche l’umanità e il trattamento rieducativo del detenuto che per noi è una priorità altrettanto importante».
Per Nordio il miglior modo di risolvere il problema del sovraffollamento sarebbe quello di espandere l’edilizia carceraria ma, ha spiegato, “costruire nuove carceri «è costosissimo, ed è quasi impossibile sotto il profilo temporale, perché abbiamo vincoli idrogeologici, architettonici, burocratici». Per questo la soluzione del ministro è di riadattare le caserme dismesse, in cui detenere le persone condannate per reati a basso impatto sociale. «Utilizzare strutture che sono perfettamente compatibili con la sicurezza di un carcere, quindi con i muri di cinta, con le garitte e con gli altri spazi che sono all’interno di queste caserme è la soluzione sulla quale stiamo lavorando, spero, con risultati abbastanza prossimi». Non è la prima volta che Nordio parla della possibilità di riadattare la caserme dismesse, l’aveva già fatto lo scorso dicembre e già ad ottobre dichiarava a proposito della questione del sovraffollamento:
«Le carceri sono la mia priorità». La risposta del governo però è sempre stata quella di cercare pene alternative al carcere che prevedano comunque la detenzione e la completa restrizione della libertà anche per reati poco gravi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sempre a ottobre, parlando in Senato, aveva detto che «non si combatte il sovraffollamento delle carceri depenalizzando (…) Credo che la certezza del diritto dipenda anche dalla certezza della pena».
Benché il governo parli di potenziare l’edilizia carceraria da mesi, finora i passi concreti sono stati relativamente pochi e di fatto, un piano per l’utilizzo delle caserme è ancora inesistente. Anche il primo governo Conte su proposta dell’allora ministro della giustizia Alfonso Bonafede lanciò l’idea di riadattare le caserme e nel decreto semplificazioni del 2018 formalizzò un piano ad hoc ed avviò accordi anche con il ministero della difesa. Ma è tutto svanito nel nulla.
A questo si aggiunge il fatto che, nell’ultima legge di Bilancio, il governo ha previsto tagli per 36 milioni di euro all’amministrazione penitenziaria nei prossimi tre anni e nel PNRR sono stati approvati alcuni progetti per l’edilizia penitenziaria, che dovrebbero portare alla costruzione di otto nuovi padiglioni presso carceri già esistenti, che aggiungerebbero 640 nuove camere per la detenzione e altri spazi.
Al momento però questi progetti rimangono lettera morta. Questi dati dovrebbero far riflettere soprattutto la classe politica onde trovare urgenti soluzioni in materia di giustizia a tutela dei diritti umani e per evitare condanne dell’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti.