Minacce e intimidazioni ai giornalisti che fanno il proprio dovere. Gli episodi sono in aumento ma nessuno sembra accorgersene.
Il lavoro di cronista si fa sempre più pericoloso. In aumento le minacce soprattutto da parte della criminalità organizzata. Sono stati diffusi dal Ministero dell’Interno dati allarmanti in merito alle minacce subite da giornalisti e blogger che cercano di raccogliere e pubblicare notizie di interesse pubblico. L’onlus di volontariato Ossigeno (Osservatorio Su Informazioni Giornalistiche E Notizie Oscurate) da anni documenta ed analizza le intimidazioni e le minacce nei confronti dei cronisti italiani, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.
Dalle analisi risulta che le intimidazioni subite da chi cerca di svolgere il proprio lavoro non sono un caso isolato ma rappresentano un fenomeno sistemico. Certamente sottostimato. Fino a qualche anno fa si negavano minacce e ritorsioni come se la responsabilità, come spesso accade in Italia, ricadesse sulla parte lesa e non su chi commette il reato. Nei primi sei mesi del 2020 sono stati documentati 250 casi di intimidazioni e minacce nei confronti di cronisti.
Ossigeno da 13 anni svolge un lodevole e meritorio monitoraggio continuo sulla grave situazione. In una democrazia moderna sono dati che dovrebbero indignare qualsiasi persona che abbia un minimo di senso civile, anche perché sono a rischio l’incolumità di professionisti nello svolgimento del loro lavoro, nonché la libertà di informazione. Aspetto, quest’ultimo, che è fondamentale per il cittadino perché ne limita la partecipazione alla “cosa pubblica”.
Si fa poco o nulla per porre un argine alla violenza dilagante contro i cronisti. Sui giornali, infatti, si fanno sempre più spesso pettegolezzi da portinaie e chiacchiericcio da bar. A metà agosto ha suscitato clamore ed apprensione il caso del giornalista Claudio Locatelli arrestato e detenuto in Bielorussia durante le manifestazioni di proteste nei confronti del presidente Lukashenko.
Altrettanto clamore avrebbe dovuto suscitare un altro dato diffuso a Ferragosto dal Viminale e che, invece, è caduto nell’oblio della stampa e della politica. Più precisamente: in Italia nel 2020 minacce e intimidazioni ai giornalisti sono aumentate del 51,6%. Tutto nella norma in un Paese come l’Italia dove la politica fa squadrismo mediatico contro i conduttori di talk show televisivi: ricordate il post su Facebook ed il conseguente shitstorming in cui appariva l’abitazione e l’indirizzo di Corrado Formigli, giornalista di La7, che aveva osato fare un’intervista giudicata troppo aggressiva a Matteo Renzi? E’ tutto dire.
Celebre poi il caso di Roberto Saviano sotto scorta dal 2006 per il libro “Gomorra”, diventato un best seller mondiale ed una fiction televisiva di successo, sulle “imprese camorristiche dei casalesi”. O della giornalista del quotidiano “Il Mattino” di Napoli Rosaria Capacchione, eletta poi in Parlamento nelle liste del Pd, sempre per le stesse inchieste. O ancora della giornalista di Repubblica Federica Angeli, sotto scorta per le sue inchieste sul clan dei Casamonica ad Ostia vicino Roma.
Come non ricordare il barbaro assassino nel 1985 del giornalista de “Il Mattino” di Napoli Giancarlo Siani per aver raccontato il perverso rapporto camorra-politica nella Campania della ricostruzione post-terremoto? Sono solo alcuni esempi di una lunga lista a testimonianza dei pericoli che si corrono per una corretta informazione. C’è da sottolineare un aspetto: i casi che abbiamo ricordato si sono manifestati prevalentemente in regioni del Centro e Sud Italia ed in modo così diretto, forse, per l’abitudine a certi consolidati atteggiamenti criminali e di malaffare politico, talmente diffusi da diventare endemici.
In altre parti d’Italia si preferiscono, forse, forme intimidatorie meno cruente, più sofisticate e più infide: gogna mediatica grazie al web, contributi pubblicitari elargiti o disattesi e simili. Di spada o di fioretto, il risultato è sempre lo stesso: siamo davvero messi male. Almeno diciamolo.