Nello sport in Europa sono occupate 1,37 milioni di persone, pari allo 0,7% del totale. L’Italia, come spesso accade, si posiziona ben al di sotto della media europea, ma primeggia nel calcio.
Roma – Lo sport, in Europa, dà lavoro a circa un milione e mezzo di persone. Il punto è che ci si è abituati a vedere lo sport (soprattutto calcio, sci, ciclismo, tennis e automobilismo) come un luogo in cui circolano cifre vertiginose, che fanno venire la pelle d’oca a noi poveri comuni mortali, spesso dimenticando che chi guadagna una montagna di soldi è, in realtà, gente che lavora come tanta.
Un discorso a parte merita il giornalismo sportivo, in primis calcistico, che ruota attorno alle TV private: è di tale scadenza, incompetenza e ridicolaggine che nemmeno l’invito di “andare a zappare” è nelle loro corde.
L’invito, come si sa, è rivolto, con polemica, a chi si dimostra incapace di lavori delicati e impegnati: magari lo sapessero fare! Oggi è una nobile arte che, se diffusa, potrebbe risolvere problemi alimentari e occupazionali. Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, ha diffuso dei dati secondo cui nello sport in Europa sono occupate 1,37 milioni di persone, pari allo 0,7% del totale. C’è stata una flessione col Covid, ma dal 2021 il settore è tornato a crescere.
Come in tutte le analisi riguardanti la realtà socio-economica europea emerge sempre lo stesso filo conduttore: primeggia – si aveva qualche dubbio? – la Svezia, seguita dalla Finlandia e poi da Spagna e Francia. L’Italia, come altre volte, si posizione ben al di sotto della media europea, che è dello 0,7%. Infatti arriviamo appena al 46%, distanti quasi tre volte dalla Svezia. Ci troviamo con valori più bassi rispetto alla media europea. In buona compagnia (si fa per dire) di Paesi quali Bulgaria, Malta e Romania.
Un dato molto interessante è rappresentato dall’età: circa una persona su tre che lavora nello sport ha massimo 29 anni. Inoltre, a conferma di una realtà diffusa in altri settori dell’economia, il genere maschile domina su quella femminile, il 55% contro il 45%. Infine, il 50% degli occupati vanta un’istruzione media, mentre il 40% una elevata.
Se ci sono settori che offrono lavoro ben vengano, fosse pure lo sport. Con la carenza di posti di lavoro, va bene tutto, purché sia garantito e a norma di legge. C’è un aspetto curioso che val la pena di mettere in evidenza. I Paesi del Nord Europa hanno il più alto numero di praticanti, a livello amatoriale, di attività sportive ed un alto numero di lavoratori nel settore. Eppure, a livello di vittorie, nelle varie competizioni sono i Paesi col più basso numero di successi.
L’Italia, che forse ha una peculiarità anche nello sport, è il Paese con meno praticanti e meno lavoratori, ma a livello di palmares primeggiamo. Non c’è, quindi una correlazione netta tra vittorie e diffusione della pratica sportiva. Ma c’è un aspetto che stride e non poco. Come scrisse il compianto Oliviero Beha, noto giornalista e scrittore: “L’Italia è una Repubblica fondata sul calcio”. A significare che il calcio è diventato il contenitore di qualsiasi cosa. Si può toccare tutto, tranne il pallone, in questo disgraziato Paese. Usato spesso per altri scopi, spesso illeciti, è un po’ uno spaccato del nostro modo di vivere. Ovvero con “la testa nel pallone”, sia in senso letterale sia in senso figurato.