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Sport e salute: non sempre c’è sintonia

Lo sport è stato sempre indicato come suprema espressione di benessere fisico e mentale. Ma non sempre è così. In passato si sono verificati, nel calcio, decessi per diverse patologie degenerative e tumori.

Roma – Gli ultimi in ordine di tempo hanno riguardato gli ex calciatori Sinisa Mihaijlovic, 53 anni e Gianluca Vialli, 58 anni. Ma ce ne sono stati altri, tanto che tempo fa fu istituita un’inchiesta giudiziaria che non ha portato ad alcuna condanna. Ha però scoperto il “vaso di pandora” relativo all’uso eccessivo di farmaci che fungevano da dopanti.

Uno studio svedese ha evidenziato la correlazione tra danni cerebrali e colpi di testa dei giocatori di calcio, che avrebbero più probabilità di essere vittime del “morbo di Alzheimer”. È notorio che si tratta della forma più comune di demenza, riferita a perdita di memoria e di altre abilità intellettuali, così grave da interferire con la quotidianità. Rappresenta il 50-80% dei casi di demenza. Lo studio, dal titolo “Neurodegenerative disease among male élite football (soccer) players in Sweden: a cohort study” (Malattia neurodegenerativa tra l’élite dei giocatori di calcio maschile in Svezia: uno studio a campione), è stato effettuato dal Karolinska Institutet di Stoccolma, Svezia.

Stefano Borgonovo, calciatore morto di SLA.

Si tratta di una prestigiosa università medica ed è considerata come una delle istituzioni di educazione universitaria di medicina al mondo. Inoltre, ogni anno, un comitato dell’Istituto seleziona i vincitori del Premio Nobel per la Medicina. Oggetto della ricerca sono stati tutti i calciatori maschi, dilettanti e professionisti, che hanno giocato almeno una partita nella Serie A svedese dall’1 agosto 1924 al 31 dicembre 2019. Lo studio è stato pubblicato dal periodico medico “Lancet”, rivista scientifica inglese in ambito medico. I casi presi in esame sono stati più di 6mila e i risultati sono preoccupanti. Il 9% ha subito una malattia degenerativa del cervello, mentre la media nazionale è del 6%. In questa media sono rientrati anche i portieri, suscitando un po’ di sorpresa visto che toccano il pallone con le mani.

La ricerca ha messo in evidenza che i giocatori di movimento rischiano di ammalarsi 1,5 volte in più di quelli che stanno tra i pali. Il punto da cui sono partiti gli studiosi era l’incremento del rischio di malattie neurodegenerative legate allo sport del calcio. Si è incentrata sulle prove che collegano lesioni cerebrali traumatiche, incluse commozioni cerebrali e lesioni sub-concussive ripetitive senza sintomi, ad una crescita del rischio di malattia neurodegenerativa. Tuttavia, giocare la palla con la testa, dando anche dei colpi molto forti che possono provocare piccoli e continui trami, non è chiaro come possa essere causa di neurodegenerazione. Le prove ci sono, ma sono incomplete, incoerenti e controverse.

Lo studio non ha chiarito come i dati a disposizione possano essere utilizzati sui calciatori contemporanei, che, rispetto ai colleghi di inizio XX secolo, durante la loro carriera hanno utilizzato i cosiddetti “arnesi del mestiere” completamente diversi. Sono quelle situazioni in cui la completa certezza non esiste. Comunque, studi simili su altri sport come rugby, boxe e football americano hanno segnalato gli effetti nel lungo periodo che si potrebbero riversare sugli atleti. È chiaro che stiamo parlando di sport professionistico, portato alle estreme conseguenze in fatto di prestazioni. Certo, se colpire il pallone di testa nello sport del calcio fa parte delle sue regole da quando è nato, qualche accorgimento si potrebbe utilizzare. Ad esempio utilizzare particolari caschi che attutirebbero molto i colpi ricevuti. Altrimenti lo sport espressione di vigoria e salute, rischia di provocare più danni che benefici.

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