I grandi nomi del Made in Italy fanno gola ai produttori stranieri. In molti cercano di sfruttare la loro notorietà, non sempre con metodi illeciti.
Roma – Nell’autunno scorso, prima che scoppiasse la guerra in Europa, una singolar tenzone era nata fra Croazia e Italia. A iniziare la contesa era stata la Croazia. Questa, con il suo ardimentoso esercito di vignaioli ed enologi, era riuscita ad ottenere il riconoscimento dell’IGP del proprio vino dal nome… Prosek. Che combinazione, è la traduzione dell’italico Prosecco!
Immediata la reazione dell’Italia, ferita nell’amor patrio enologico. Tramite il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha tentato di bloccare la domanda di registrazione croata appellandosi ai principi di tutela espressi dalla Corte di Giustizia Europea. Come si può facilmente intuire tra Prosek e Prosecco la confusione regna sovrana.
Il prodotto italiano è un DOCG, un marchio attribuito a vini ai quali già spetta la Denominazione di Origine Controllata e che soddisfano condizioni ancora più severe quali l’imbottigliamento previa degustazione. È un vino dal grande impatto economico, essendo l’export uno dei settori più dinamici del commercio.
Molto risentita la reazione del governatore del Veneto Luca Zaia, regione produttrice del Prosecco insieme al Friuli-Venezia Giulia. Ha parlato di grande offesa e di scelta insensata da parte della Commissione Europea:
“…L’Ue dovrebbe capire che non si tratta solo di un prodotto che ha avuto tutti i riconoscimenti formali dalle stesse strutture amministrative della Commissione Europea, anche rispetto alla riserva del suo nome. Il Prosecco ha addirittura ottenuto il massimo riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco…”.
Il Prosecco è una delle specialità più vitali dell’export di vino italiano. Uno studio di Coldiretti sui dati dell’esportazione dell’Istat lo ha confermato. L’anno scorso si è registrata una crescita record dell’export in volume di Spumante del 26%. Un aumento ancora maggiore per il Prosecco, pari al 35%, meglio dei concorrenti Champagne e Cava. Dietro questi incrementi sta la voglia dei consumatori stranieri di tornare a brindare con le bollicine Made in Italy. La lunga astinenza dovuta alla chiusura dei ristoranti e agli ostacoli alle esportazioni legate alla pandemia inizia a farsi sentire.
Non per campanilismo, ma le motivazioni tecniche, storiche e territoriali, compresa l’iscrizione delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene nella lista del patrimonio mondiale Unesco, sono talmente chiare che è difficile non vedere l’infondatezza del riconoscimento della menzione tradizionale Prosek.
Il dossier italiano per respingere la richiesta croata è stato inviato alla Commissione Europea e farà il suo iter. Tuttavia, con i chiari di luna della guerra ancora in corso, senza dubbio ci sono problemi più impellenti a cui dare soluzione. Sperando che la domanda italiana venga accolta, non ce ne voglia la Croazia, diremo che alla storica disfida di Barletta aggiungeremo quella del Prosecco. Il confronto del sedicesimo secolo terminò con la vittoria degli italiani. La seconda battaglia si sta combattendo a colpi di bollicine. Di certo preferibili a bombe e fucili fumanti, dunque… cin, cin!