L’attore casertano sfoga la sua amarezza sui social per l’esclusione del suo terzo film da regista, Caracas, dalle candidature al prestigioso riconoscimento.
Roma – All’indomani delle nomination per i David di Donatello 2025, Marco D’Amore, l’attore e regista casertano celebre per il ruolo di Ciro Di Marzio, l’Immortale, in Gomorra, non ha trattenuto il suo disappunto. Con un lungo post sui social, il 43enne ha denunciato l’esclusione del suo terzo film da regista, Caracas, dalle cinquine dell’Accademia del Cinema Italiano, puntando il dito contro un sistema che, a suo dire, “gira su se stesso da anni senza scossoni”.
“Questo post non serve a niente. Questo post è inutile,” esordisce D’Amore, con un tono che mescola rassegnazione e sfida. Caracas, il suo ultimo lavoro dietro la macchina da presa, non ha trovato spazio tra i film candidati ai David. Una bocciatura che l’artista vive come un affronto non solo personale, ma collettivo, verso il cast e la troupe che hanno dato vita al progetto. “Il nostro Caracas non aveva nulla di meno dei film candidati. Anzi, secondo me aveva qualcosa in più,” scrive, difendendo la qualità tecnica e artistica dell’opera.
Il film, uscito nelle sale a novembre 2024, racconta una storia cruda e intensa ambientata tra Napoli e il Venezuela, con Toni Servillo e lo stesso D’Amore nel cast. Acclamato da parte della critica per la regia audace e la fotografia di Salvatore Landi, Caracas non sembra aver conquistato l’Accademia presieduta da Piera Detassis. “Quelli che votano e che dovrebbero guardare i film, Caracas non lo hanno nemmeno visto,” accusa D’Amore, lasciando intendere una superficialità nella selezione.
Il regista non si limita a lamentare l’esclusione del suo film: il suo è un attacco frontale al meccanismo dei David. “I film in cinquina, come al solito, prevedibili fin da prima della loro uscita in sala. Sempre gli stessi nomi,” denuncia, parafrasando il Tancredi del Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto NON cambi.” Un sistema avviluppato nella “consuetudine di dinamiche ben note,” che premierebbe sempre gli stessi protagonisti, ignorando voci nuove o meno allineate.
D’Amore non ha paura di esporsi: “Mi espongo senza problemi al pubblico ludibrio,” afferma, consapevole che il suo sfogo potrebbe attirare critiche o ironie. Ma il suo intento va oltre la polemica: è un grido di frustrazione per un’industria cinematografica che, a suo avviso, manca di coraggio e apertura. In un gesto simbolico, D’Amore assegna i suoi “personali David” al team di Caracas. “Assegnerò la mia personale vittoria ai compagni e alle compagne che hanno lavorato con me al film e che penso meritassero quantomeno un briciolo di attenzione,” scrive, tributando un riconoscimento ideale a chi ha condiviso con lui mesi di fatica e passione. Un gesto che richiama l’amarezza di Massimo Troisi, citato esplicitamente: “In un’intervista piena di amarezza disse che il motivo più grande della sua infelicità era per l’unico David vinto dopo Ricomincio da tre. Ho sempre capito il senso delle sue parole, oggi molto di più.”
Troisi, che vinse un solo David come miglior attore nel 1981, si sentiva incompreso da un sistema che non ne aveva riconosciuto appieno il genio. D’Amore, con una sola candidatura all’attivo (miglior attore non protagonista per Gomorra – La serie nel 2015), si specchia in quella delusione, pur senza aver mai alzato una statuetta.
Lo sfogo di d’Amore riapre una questione antica: quanto i premi cinematografici riflettano il merito e quanto, invece, dinamiche di potere o consuetudini? L’immortale con il suo sfogo, non cambierà il sistema – lo ammette lui stesso definendo il post “un enorme buco nell’acqua” – ma ha acceso una luce su un disagio condiviso da molti autori emergenti o outsider. Per ora, i David di Donatello 2025 procedono verso la cerimonia di maggio, con le cinquine dominate da nomi noti come Paolo Sorrentino (Parthenope) e Matteo Garrone (Io Capitano). Ma a Ragusa, dove D’Amore è tornato dopo le fatiche di Caracas, resta l’orgoglio di un film che, premi o non premi, ha lasciato un segno. “Patisco con voi, ma gioisco insieme per quello che solo noi abbiamo fatto,” conclude.