L’uomo che fece arrestare Curcio e Franceschini, i fondatori delle Brigate Rosse, ha reso l’anima a Dio una settimana fa. Con Girotto se ne sono andati i segreti di un periodo assai turbolento per l’Italia in cui terrorismo, massoneria, servizi deviati e criminalità avevano provocato una lunga scia di sangue. Sino all’omicidio di Aldo Moro su cui non è stata fatta mai piena luce.
Torino – È morto il 31 marzo scorso, a 83 anni e dopo una lunga malattia Silvano Girotto, meglio conosciuto come Frate Mitra. Era salito alla ribalta delle cronache per la sua collaborazione con i carabinieri che, nel settembre 1974, aveva portato alla cattura dei fondatori delle Brigate Rosse, Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Originario di Caselle Torinese e figlio di un maresciallo dei carabinieri, Girotto era noto anche come Padre Leone per via del suo abito talare che lo aveva visto francescano e missionario, oltre che legionario, infiltrato e guerrigliero. Silvano aveva avuto una giovinezza burrascosa tanto che a 17 anni fuggiva in Francia senza documenti e veniva arrestato dai gendarmi per immigrazione clandestina. Mentendo sull’età il giovane accettava di arruolarsi nella Legione Straniera e veniva spedito in Algeria dove la Francia era impegnata militarmente con il Fronte di Liberazione Nazionale in una guerra sanguinosa.
Il giovane Girotto tre mesi dopo disertava dalle file dei legionari perché non condivideva l’uso della tortura largamente praticata fra i ranghi della Légion étrangère. Una volta tornato in Italia Girotto era stato coinvolto in una rapina e nonostante non fosse stato l’esecutore materiale veniva condannato e incarcerato a Torino. Una volta ordinato, frate Girotto si era ritrovato dalla parte degli operai comunisti fra i quali si guadagnava, sul campo, l’appellativo di prete rosso. Nel 1969 era partito missionario per la Bolivia e proprio in questo Paese, dove si consumava la guerra civile, era diventato un guerrigliero latitante conosciuto con il soprannome di “Frate Mitra”. Poi in Cile durante il golpe contro Augusto Pinochet dove, armi in pugno, aveva combattuto schierandosi dalla parte dei ribelli al regime.
Nel 1973 Girotto, rimpatriato in Italia, veniva espulso dall’ordine monastico per i suoi “precedenti” paramilitari. Ritornato a Torino l’ex frate si rendeva conto dell’inutilità delle iniziative armate delle Brigate Rosse, in grado soltanto di generare lutti e dolore rovinando decine e decine di giovani che credevano di cambiare il mondo una volta arruolati nei gruppi di fuoco gestiti da Renato Curcio e compagni. Poi l’incontro con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la decisione di collaborare con l’Arma contro i brigatisti il cui ambiente l’ex religioso conosceva bene.
Nel maggio 1974 l’uomo incontrava il suo compaesano Enrico Levati e poi l’avvocato ex partigiano Giambattista Lazagna chiedendo di entrare nelle Br. Con un curriculum di guerra come il suo Girotto non ci metteva molto ad incontrare Renato Curcio in un rifugio alpino in Val Pellice mentre i carabinieri seguivano i loro spostamenti. Curcio lo arruola subito ma Moretti e Franceschini sono titubanti ma poi finiranno con l’accettare. Dove lo trovano un esperto di armi ed esplosivi come Frate Mitra?
Mentre veniva decisa la sorte del giudice Mario Sossi, sequestrato dalle Brigate Rosse a Genova il 18 aprile 1974 e rilasciato a Milano il 23 maggio seguente, Moretti tornava nel capoluogo lombardo mentre Curcio e Franceschini decidevano di incontrare di nuovo Girotto. L’indomani si vedranno nella stazione ferroviaria di Pinerolo ma Curcio si accorge che in giro ci sono facce sospette e intuisce l’agguato. Il capo ideologico delle Br inizia a correre seguito da Franceschini. I due saltano a bordo di un’auto e fuggono a gran velocità ma ad un passaggio a livello la vettura veniva bloccata dai carabinieri. I fondatori delle Brigate Rosse cadono nelle mani di Dalla Chiesa e si dichiarano prigionieri politici, un rito abituale che indica una precisa scelta politica:
”…Io non sono concettualmente contrario alla lotta armata – disse Girotto nel 1975 durante un’intervista – ma lo sono quando essa non è necessaria. Ancora oggi se tornassi in America latina riprenderei il mitra perché so che purtroppo laggiù non esiste alternativa ma è desolante vedere che anche nel mio Paese si vuole arrivare a quel tipo di situazione quando invece è ancora evitabile…”.
Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un “processo del popolo” Aldo Moro moriva ammazzato per mano di Mario Moretti. Una sconfitta per tutti.