Il balordo si sarebbe divertito facendo sesso senza protezioni e ben sapendo di infettare centinaia di persone fra donne, gay e transessuali. La sua prima compagna è morta dopo un lungo calvario ospedaliero mentre la sua ultima fidanzata, una volta accortasi di essere ammalata, l’avrebbe fatto arrestare.
Ancona – Condannato a 16 anni e 8 mesi di carcere per lesioni gravissime e omicidio volontario il camionista sieropositivo che avrebbe contagiato centinaia di donne.
Il Gup di Ancona Paola Moscaroli ha emesso la sentenza contro Claudio Pinti, 35 anni, autotrasportatore originario di Montecarotto che, fra le altre donne, avrebbe infettato la compagna Giovanna Gorini, 32 anni, morta il 24 giugno del 2017 dopo un lungo quanto doloroso calvario ospedaliero, e la seconda fidanzata, Romina Scaloni di 47 anni, operaia.
Quest’ultima, una volta accertato il contagio, ha poi denunciato l’untore. Una vicenda terribile e incredibile nel contempo che ha avuto per protagonista un uomo che, pur consapevole del pericolo letale di cui era portatore non ha esitato, in oltre 11 anni, di avere rapporti sessuali non protetti spacciandosi per sano.
Circa 227 donne potrebbero essere le potenziali vittime di Claudio Pinti che, per motivi di lavoro, girava in lungo e in largo l’Italia lasciando dietro di sé una lunga scia di ragazze giovani e meno giovani contaminate.
L’uomo era convinto che l’Hiv non esistesse e che, anzi, fosse una vera e propria bufala su cui medici e case farmaceutiche speculassero per meri fini di reddito. Un’assurdità che, però, pare non abbia convinto gli inquirenti atteso che diverse donne contagiate avrebbero riferito che Pinti, alcune volte, si sarebbe dichiarato sieropositivo smentendo poi la diagnosi addossando la colpa ad analisi falsate.
La stessa cosa avrà fatto con la sua compagna Giovanna Gorini (da cui ha avuto una figlia che oggi ha 11 anni) scomparsa nel 2017 e a cui Pinti avrebbe negato le necessarie terapie sanitarie appunto per questo suo presunto quanto strampalato convincimento dell’inesistenza della grave malattia ematica.
Dopo la morte della compagna con cui conviveva il camionista incontrava un’altra donna che nel breve volgere di alcune settimane l’uomo riusciva a sedurre e con la quale avrebbe avuto, come suo solito, rapporti sessuali non protetti.
Nei mesi successivi Romina Scaloni iniziava ad accusare i primi sintomi della grave patologia e dopo gli accertamenti clinici e le confidenze di una parente di Pinti, la donna prendeva coscienza delle sue precarie condizioni di salute:
”…Sono stata defraudata della libertà di scegliere – ha detto la donna – e ingannata rispetto alla sua patologia. Ormai io sono stata contagiata e ho deciso di denunciarlo per porre fine alla sua cattiveria. Non vorrei che capitasse ad altre donne ciò che è successo a me… Quando ho saputo della malattia il mondo mi è caduto addosso…”.
Nel giugno del 2018 l’uomo veniva arrestato e dai documenti sanitari la sua malattia era stata accertata da oltre dieci anni dunque, potenzialmente, potrebbero essere state contagiate centinaia di donne a voler prendere per buone le confessioni dell’untore.
Pinti, col fine di procacciarsi le prede, avrebbe utilizzato diversi social network ed avrebbe avuto rapporti intimi anche con gay, scambisti e transessuali, individui che potrebbero aver contagiato, a loro volta, chissà quante persone.
Le accuse contro Pinti formulate dal procuratore Irene Bilotta e dal Pm Marco Pucilli, oltre all’accusa di lesioni gravissime dolose, avevano già previsto l’omicidio volontario in danno della prima compagna la cui figlia è poi stata affidata ai nonni paterni.
Sin dalle prime dichiarazioni l’uomo, al momento piantonato e ricoverato in ospedale in reparto per malattie infettive, pare si fosse dichiarato una sorta di negazionista della malattia ma gli inquirenti avrebbero anche formulato l’ipotesi che l’untore si sarebbe divertito a contagiare chiunque fosse andato a letto con lui:”…In questi anni l’ho fatto con 228 partner diversi – aveva riferito Pinti agli agenti di polizia – se volete vi aiuto a cercarli…”.
Le diverse parti offese hanno ricevuto 525mila euro di risarcimento mentre la quantificazione totale dei danni seguirà all’esito del procedimento civile. Le vittime hanno chiesto oltre 7,5 milioni di euro mentre il Gup di Ancona ha concesso 100mila euro ai parenti della convivente defunta e 50mila euro a Romina Scaloni che, grazie alla sua denuncia, ha contribuito all’arresto di Claudio Pinti.