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Sci e montagne francesi sono a rischio estinzione. E le nostre?

Allarme nel Paese transalpino a causa della mancanza di neve e delle temperature troppo alte. Secondo gli studiosi infatti, tra 50 anni le Alpi non potranno più garantire lo svago sugli sci.

Roma – Ormai è sulla bocca di tutti che il cambiamento climatico sta sconvolgendo l’ecosistema, provocando danni irreparabili. La recente estate, con temperature roventi, siccità e aridità dei terreni è stata sola un’avvisaglia. L’inverno pare proprio che non voglia arrivare, ammiccando temperature quasi primaverili. O, addirittura, si manifesta con tendenze quasi bipolari: la mattina freddo, a volte ghiaccio, nebbia e nel giro di qualche ora un sole quasi piacevole fa capolino, donando un piacevole tepore, senza il quale il freddo si avvertirebbe, eccome!

È facile notare, con queste temperature, i parchi cittadini affollati di mamme con bambini e di anziani che si crogiolano al sole. Su Il Corriere della sera di qualche settimana fa è apparsa una notizia relativa all’allarme che si sta diffondendo in Francia sulla possibile scomparsa delle piste da sci. Le temperature invernali, oltralpe, stanno registrando medie troppo alte per il periodo: 14,5 °C in media, che ha reso impossibile, tra l’altro, produrre neve artificiale. Una recente indagine di Méteo France ha reso ancora più pesante ed incerta la situazione.

Scarseggia la neve sulle Alpi.

Secondo gli studiosi, con le temperature così alte e le estati caratterizzate da incendi e siccità, nel giro di 50 anni le Alpi francesi non saranno più in grado di prestare le proprie vette allo sport che ha molti estimatori e praticanti: lo sci. Questo problema potrebbe presentarsi anche per le vette alpine italiche. Si prevede, dunque, che entro il 2050 il turismo dovrà pensare a una transizione economica delle stazioni sciistiche, in quanto la scomparsa del tanto amato sport invernale è una possibilità concreta da prendere in considerazione. Non è solo l’aspetto ambientale da tenere a mente, ma anche gli effetti economici che si riverseranno sul comparto turistico e sull’industria del settore.

Ad esempio, metà delle località sciistiche francesi, con temperature medio-fredde, non sono state in grado di aprire le piste finora, con gravi perdite per il fatturato dell’intera stagione. Su Libération, il quotidiano d’oltralpe fondato tra gli altri da Jean-Paul Sartre, è apparso un articolo a firma della geografa Magali Reghezza-Zitt. Membro del centro di formazione di ambiente e società dell’ENS (École normale supérieure), il suo oggetto di studio sono “le nozioni di rischio e crisi, vulnerabilità e resilienza, adattamento, nel contesto della globalizzazione e del cambiamento ambientale”. La studiosa ritiene che bisogna ripensare a nuovi modelli economici adatti al clima che sta cambiando. Infatti ha scritto: “Che ci piaccia o no, la neve artificiale è una risposta ingannevole se pensiamo che ci permetterà di mantenere lo status quo“.

La cosiddetta “neve di cultura“, che non funziona quando il clima è troppo mite, è stata già ostacolata quest’anno: “la stazione di Les Rousses ha rinunciato ai cannoni sparaneve perché la temperatura necessaria di -3 °C non è stata raggiunta abbastanza a lungo per consentire la produzione di neve”. “Del domani non v’è certezza” scrisse Lorenzo il Magnifico. Nel senso più prosaico di oggi, si intende che il futuro non è prevedibile, nessuno ha la sfera di cristallo. Però non bisogna far finta di niente, manifestando addirittura teorie negazioniste, che poi tali non sono, ma fanno parte dell’apparato mediatico-comunicativo di chi mira alla conservazione. Negare il cambiamento climatico è una posizione “integralista” di chi non vuole vedere la realtà. E invece, avremmo bisogno di interventi decisi da parte delle istituzioni che, purtroppo, mancano!                                      

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