A livello Europeo tutti gli Stati membri premono in tal senso tranne l’Ungheria. I costi sociali della guerra e gli aiuti all’Ucraina hanno raggiunto cifre considerevoli per tutti dunque le imprese maggiori pagheranno il solito scotto? Ma non si parlava di aiutare le attività produttive ormai oppresse da tasse e balzelli?
Roma – Ormai è da tempo che si parla, in sede europea, di trovare una soluzione che possa permettere agli imprenditori di salvare le proprie aziende. Magari partendo da alcune soluzioni base come la riduzione della pressione fiscale troppo ossessiva e pervasiva. Ma così come esistono nazioni che comprendono di non avere tanto tempo per essere efficaci, altre invece rallentano, osservano e non decidono. Ma se non si riesce a procedere con una tassazione minima delle grandi imprese a livello Ue, allora si renderà necessario imporre misure nazionali a livello di Stati membri, che si coordineranno tra loro in attesa della direttiva europea che tarda ad arrivare.
Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Spagna creano un fronte comune per una vera e propria rivoluzione fiscale europea. L’Ungheria, purtroppo, continua a bloccare il progetto. Allora diventa indispensabile aggirare l’ostacolo dell’ostruzionismo, con un blocco degli Stati che intendono portare avanti la riforma. “…Dopo cinque anni di lavoro è tempo di fare progressi e imporre una tassa minima alle imprese dal 2023…”, tuona Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese. Una linea, peraltro, condivisa dal ministro dell’Economia Daniele Franco, il quale afferma che “…Sotto la presidenza italiana il G20 ha trovato un accordo ed ora è tempo di procedere…”. Avanti tutta e avanti comunque. Ma sarà vera gloria?
I ministri dei cinque Stati membri, di cui quattro fondatori, si presentano insieme per annunciare la loro iniziativa mostrando unità, che non è solo di intenti, ovvero basata solo su protocolli d’intesa ma concreta e reale. “…Vogliamo tracciare un solco…” – spiega Sigried Kaag, ministra delle Finanze olandese – “…E’ tempo di agire, dimostriamo che si può fare…” anche senza il consenso unanime ed anche senza l’Ungheria. Nazione che continua a rendere impossibile riformare il sistema di tassazione in Europa. I costi di mantenimento della guerra scatenata dalla Russia si fanno sentire anche per i Paesi Europei che stanno raschiando il barile delle risorse economiche interne, per spirito di solidarietà nei confronti dell’Ucraina.
D’altronde gli aiuti forniti al Paese invaso da Putin non sono indifferenti ed hanno un costo sociale elevato. Ecco allora farsi strada la balzana idea, distruttiva, di fare ricadere sui settori imprenditoriali il peso economico di tale scelta per condividerne il costo, anche a rischio della più naturale impopolarità. Anche perché, insiste la spagnola Nadia Calviño, non è più solo una questione di natura fiscale.
“…Anche le grandi imprese devono contribuire alle spese della guerra” che tra l’altro l’Ue e i suoi Stati stanno sostenendo per contrastare l’avanzata russa in Ucraina...E’ estremamente importante che in questo momento anche le multinazionali contribuiscano al gettito…”, rincara la dose il titolare del dicastero economico italiano.
Non è più solo una questione di equità, insiste Franco. Guerra e crisi energetica diventano un motivo in più per spingere nella direzione di quell’accordo per una tassazione minima delle imprese trovato in sede di G20, quindi in sede Ocse, ma non ancora in sede Ue.
Il “gruppo dei cinque” evoca anche la possibilità di una cooperazione rafforzata, nella consapevolezza di raggiungere il numero minimo di nove Stati membri necessari per procedere in tal senso. Ma occorre che la Commissione lo proponga, mentre Von der Leyen sembra frenare: “…Certamente la cooperazione rafforzata è una della possibilità, ma per noi quella preferibile è quella europea…”. La situazione si riscalda mentre i prossimi mesi si prevedono freddi e bui.